Con gli Stati generali dell'Alimentazione, che hanno avuto luogo nei giorni scorsi a Parigi, si sono dati tempo fino al 14 novembre il ministro dell'Agricoltura francese, Stéphane Travert, e i rappresentanti del sistema agroalimentare francese, per individuare soluzioni in grado di riportare in equilibrio i margini di reddito e permettere così al made in France di dare le risposte che il consumatore con sempre maggiore insistenza cerca: parliamo di benessere animale, sicurezza alimentare, produzioni locali, prezzi adeguati, tutela dell'ambiente.

A tutto questo bisogna aggiungere le richieste del mondo agricolo, sintetizzate molto efficacemente da Christiane Lambert, la presidente della Fnsea, il principale sindacato agricolo francese.
Era stata lei, alla vigilia del grande vertice voluto fortemente dal presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, a dichiarare con una frase a effetto che gli agricoltori non hanno redditi, poiché i prezzi oggi non coprono i costi di produzione. Da tempo infatti in Francia (così com'è in Italia) gran parte del valore si perde e negoziati commerciali dai toni aspri, in una guerra che vede quasi sempre l'agricoltore uscire con le ossa rotte.

Da qui l'appello della Fnsea: "O si dà il giusto valore al lavoro degli agricoltori e ai loro prodotti, dal momento che si considera importante l'agricoltura francese, oppure si trasforma il mondo in un grande supermercato senza regole e ognuno finisce ad acquistare i prodotti dove sono meno cari, dando il via a una crisi che sfocerà nell'abbandono dell'agricoltura in Francia in maniera irreversibile".

L'obiettivo è quello di rafforzare un patto con il cittadino, in modo da assicurare redditi equilibrati e da traghettare il settore lontano da una crisi che, in base alle elaborazioni del sindacato francese, ha costretto un agricoltore su due nel 2016 a vivere con meno di 350 euro al mese.
Secondo Christiane Lambert, come nel messaggio rilanciato dalle colonne di Les Echos, "è necessario rafforzare l'ambito delle negoziazioni commerciali e invertire la logica ricostruzione dei prezzi, che non siano imposte al distributore, ma che dipendano da contratti equilibrati durevoli, che integrino i costi della produzione di qualità".

L'agricoltura avrebbe già compiuto la propria parte, attraverso un percorso di modernizzazione dei mezzi e delle tecnologie riproduzione, ma molto spesso scontrandosi con i timori della società. Un esempio, riportato dalla presidente della Fnsea, riguarda impianti di irrigazione o di estensione degli edifici zootecnici, spesso frenati dai cittadini e dalle comunità secondo la logica del Nimby (Not in my backyard, Non nel mio giardino, ndr).

Al netto del recente rialzo dei prezzi del settore lattiero caseario e dei suini, la crisi per l'agricoltura francese si trascina ormai da molto tempo ed è frutto di più fattori, non necessariamente fra loro connessi. Un elenco delle cause ha provato a stilarlo il quotidiano Le Monde, partendo dalle dimensioni delle aziende francesi in confronto con quelle tedesche, aggiungendo fra gli elementi frenanti l'esplosione delle norme, delle etichette e dei vincoli che obbligano gli agricoltori a soggiacere a investimenti sempre più ingenti per gli interventi di messa a norma.
Una burocrazia che si è fatta sentire anche con la Pac, che di certo non ha agevolato la vita degli agricoltori.

A tutti questi problemi si devono aggiungere altri elementi, come la volatilità dei prezzi delle materie prime. Gli allevatori lamentano i prezzi sostenuti della soia e del mais, che rappresentano una parte significativa della razione alimentare zootecnica. La crisi ha acceso anche la rivalità fra gli stessi produttori, con gli allevatori critici verso i cerealicoltori, i quali, secondo i primi, beneficerebbero di privilegi ingiustificati.
Poi vi sono altri elementi che hanno contribuito a inasprire lo scenario economico agricolo. E' il caso d'esempio del meteo e della siccità, alternata spesso a piovosità eccessiva in diversi periodi dell'anno. I cambiamenti climatici, infatti, sono fra i temi all'attenzione anche delle grandi politiche internazionali.

Anche la difficoltà del ricambio generazionale è uno dei problemi che affligge l'agricoltura francese. A ben vedere, si potrebbe anche affermare che si tratta di una questione globale, soprattutto per il progressivo invecchiamento degli agricoltori. In Francia in particolare, secondo l'Istituto della mutua sociale agricola, nel 2011 i capi azienda avevano un'età media di 47,8 anni e il 20% aveva un'età compresa tra i 50 e i 54 anni.
Le complessità congiunturali hanno dimostrato che in questi anni se la sono cavata meglio alcune aziende agricole di dimensioni più piccole, le quali non hanno avuto la necessità di effettuare grandi investimenti strutturali e dunque non hanno registrato esposizioni bancarie pericolose, proprio mentre il mercato internazionale non premiava le produzioni agricole.
Resta il fatto che la filiera agricola ha reagito in maniera scomposta, con ogni singolo anello che ha cercato di risolvere la situazione nel modo migliore per se stesso, scaricando gli effetti negativi a valle e, di fatto, comprimendo molte opportunità di reddito agli agricoltori.

Il percorso di rilancio dell'agricoltura francese deve ripartire dalla fine, cioè dalla tavola dei consumatori, i quali chiedono sempre più spesso qualità, origine francese dei prodotti e un rapporto qualità-prezzo che permette agli agricoltori di avere redditi necessari per continuare a produrre bene, condizione essenziale per poter garantire un futuro alla seconda economia agricola d'Europa.

E così, dopo aver deciso di dirottare fino a un massimo del 4,2% dei fondi dal Primo al Secondo pilastro della Pac, oggi la Francia chiede il contributo della filiera agroalimentare, di studiosi, esperti universitari, ma anche dei propri cittadini, per inaugurare una nuova fase per quello che considerano - giustamente - un comparto strategico dell'economia e della società.
Strategico senza ombra di dubbio, ma che negli anni ha visto perdere forza e diminuire di numero. Si calcola che nel 2018 potrebbero scomparire quasi 20mila agricoltori.

A soffrire, in particolare, è la zootecnia. Rispetto al 2000 gli allevamenti da latte e da carne sono diminuiti rispettivamente del 34% e del 27%. In totale, sono circa 85mila allevamenti bovini scomparsi in dieci anni, in aziende la cui dimensione tende ad aumentare.
Anche il patrimonio bovino francese è diminuito: era di 20,3 milioni di capi bestiame nel 2000, mentre oggi è di 19,5 milioni, vale a dire circa 800mila capi in meno. A livello geografico è la Francia dell'Ovest la più colpita, dove le proteste degli allevatori sono anche le più accese.