Il made in Italy agroalimentare è la vera ricchezza del nostro Paese. Quando all'estero si parla della cucina italiana tutti riconoscono gli altissimi standard raggiunti dai nostri prodotti. E fenomeni come quello del Prosecco dimostrano come l'economia italiana possa avvantaggiarsi dei prodotti agroalimentari al pari di quelli dell'industria meccanica o della moda.

Eppure il made in Italy è in pericolo a causa dei cambiamenti climatici, di nuove malattie e della concorrenza estera. Basti pensare al mais, che ha visto un crollo delle produzioni e ha costretto gli allevatori che fanno formaggi e prosciutti a importare mangimi dall'estero. Oppure il pomodoro pachino, colpito da un nuovo virus. O ancora l'ortofrutta in tutto il sud Italia, che quest'anno se l'è vista con gelate anomale. Senza contare la siccità di queste settimane, da nord a sud.

"Il miglioramento genetico delle colture attraverso le nuove tecnicnologie, come il genome editing, può rappresentare una soluzione alle difficili sfide che l'agricoltura ha davanti", spiega ad AgroNotizie Michele Morgante, professore di genetica all'Università di Udine e presidente della Siga (Società italiana di genetica agraria) che ha da poco pubblicato un appello per promuovere e spiegare il funzionamento, in maniera semplice ma rigorosa, delle nuove tecnologie di miglioramento genetico.

Morgante, partiamo dal principio. Che cos'è il genome editing?
"E' una nuova tecnologia che permette ai ricercatori di intervenire su piccole parti del patrimonio genetico di un essere vivente con una precisione prima non possibile. Siamo in grado di 'spegnere' alcune parti di geni o di sostituirle con altre che forniamo noi direttamente alla cellula".

Ci può fare un esempio?
"Oggi possiamo prendere una varietà di vite, come la Glera o il Nebbiolo, e inserire nel suo dna con precisione chirurgica una singola mutazione che, spegnendo un gene, rende la pianta resistente agli attacchi dell'oidio"

Si tratta di Ogm?
"La pianta che noi otteniamo in laboratorio potrebbe essere generata dalla natura attraverso mutazioni spontanee, non sono quindi organismi transgenici. Quello che noi facciamo è superare la casualità della natura modificando in maniera precisa e sicura il dna della pianta".

Perché non sono organismi transgenici quelli che voi ottenete con il genome editing?
"Perché non sono presenti nuovi geni e le mutazioni che sono introdotte sono identiche a quelle che si possono generare spontaneamente o attraverso procedure già largamente usate nel miglioramento genetico in cui si inducono mutazioni casuali attraverso trattamenti chimici".

Ci può spiegare meglio?
"La resistenza all’oidio nella Glera può essere ottenuta in due modi. Il primo è quello tradizionale, incrociando questa varietà con una resistente. Dall'incrocio si ottengono migliaia di piante tra le quali devono essere selezionate quelle che hanno ereditato da un genitore la resistenza e dall'altro le caratteristiche dell'uva. Ma per ottenere una pianta resistente servono anni e migliaia di prove, con risultati incerti. Noi invece andiamo a intervenire su una o poche basi del dna sapendo a priori quale risultato ci attendiamo. Preciso e sicuro. Ma c'è di più".

Dica.
"Se io incrocio un Nebbiolo con una varietà resistente ottengo una vite che magari è immune all'oidio, ma che quasi sicuramente non ha più i caratteri distintivi del Nebbiolo. E' qualcosa d'altro, una nuova varietà. Questo per il made in Italy non è positivo. Noi dobbiamo mantenere le nostre varietà migliorandole".

E con il genome editing è possibile?
"Sì, perché io introduco solo singole varianti in geni specifici, senza modificare gli altri".

Rimane però il dubbio che queste piante possano essere pericolose, no?
"No, il pericolo non c'è, perché sono piante che potrebbero nascere spontaneamente in natura".

Perché allora non usiamo metodi 'naturali'?
"Con il genome editing io posso ottenere un Nebbiolo, uguale a se stesso, resistente alle malattie fungine. Lo potrei fare anche con gli incroci tradizionali, ma per ottenere lo stesso risultato dovrei provare miliardi di incroci, il che rende la selezione di fatto irrealizzabile".

Ma è davvero necessario migliorare geneticamente le colture? In fondo il patrimonio di biodiversità dell'Italia è enorme, unico al mondo.
"Il miglioramento genetico è sempre esistito, fin da quando i primi agricoltori hanno selezionato e piantato i primi semi di frumento. Il genome editing serve a permettere alle piante che producono commodities e alle varietà tipiche italiane di affrontare le sfide che hanno davanti: sfamare una popolazione in crescita in modo sostenibile e adattandosi ai cambiamenti climatici".

Ci può spiegare meglio queste sfide?
"La vite copre il 3% della superficie agricola europea, ma consuma il 65% dei prodotti antifungini. E' sostenibile? Non credo. L'Italia è in crisi idrica, avere piante di mais che hanno bisogno di meno acqua sarebbe importante. Come avere pomodori che non temono i parassiti. O frumenti duri, con cui facciamo la pasta, che producono di più".

Perché non riscoprire i grani antichi?
"Il frumento Senatore Cappelli, oggi di moda, è stato selezionato da Nazareno Strampelli un secolo fa e produce un quinto delle varietà oggi coltivate. Rappresenta una nicchia nell'agroalimentare, per quanto importante, ma non certo il futuro".

Perché il genome editing oggi non è utilizzato?
"In Europa il settore è regolato dalla Direttiva 18 del 2001. Una legge scritta quando queste tecnologie non erano ancora disponibili. Oggi a livello europeo si sta discutendo se autorizzarle o meno ed è fondamentale che ne venga permesso l'utilizzo non assimilandole semplicemente agli Ogm".

Nel vostro appello affermate che la legislazione attuale favorisce le grandi multinazionali, in quale modo?
"Oggi per avere l'approvazione di una nuova semente Ogm bisogna attraversare un iter burocratico simile, per certi versi, a quello applicato ai farmaci. Ma solo i grandi gruppi possono spendere dai 30 ai 50 milioni di euro per avere una autorizzazione. Il genome editing permette di avere piante sicure, perché come abbiamo visto sarebbero ottenibili anche in natura, e dunque dovrebbe essere previsto un iter autorizzativo più snello. Che a quel punto sarebbe percorribile da piccoli centri di ricerca, anche pubblici".