L'idea è affascinante: far crescere in luoghi chiusi, senza terreno, piante destinate all'alimentazione umana. Per molti si tratta della negazione dell'agricoltura stessa, per altri un passaggio obbligato se si vogliono sfamare nove miliardi di persone nel 2050, molte delle quali vivranno in megalopoli.
E così durante Seeds&Chips, il summit internazionale dedicato all'innovazione Agrifood (di cui AgroNotizie è media partner), moltissime startup hanno presentato le proprie soluzioni.

Le tecnologie sono principalmente tre. L'idroponica, che mette a contatto le radici delle piante con la soluzione nutritiva. L'aeroponica, che fa crescere le radici in una nebbia di acqua e nutrienti. E infine l'acquaponica, che oltre alla coltivazione delle piante affianca l'allevamento di pesci. Il tutto completato da una illuminazione artificiale a led che permette di avere coltivazioni in luoghi chiusi, magari su più livelli (le cosiddette vertical farm).

Alcune aziende come Certhon o AeroFarm hanno proposto impianti per la produzione industriale indoor. Certhon, società olandese da decenni attiva nella costruzione di serre, ha sviluppato un sistema di coltivazione per insalate ed erbe aromatiche su più livelli che può comodamente essere alloggiato all'interno di magazzini abbandonati, ma anche di container da spedire negli angoli più sperduti del globo, dove produrre verdura fresca è un miraggio.
 

AeroFarm è invece una azienda statunitense, leader nel mercato delle vertical farm con tecnologia aeroponica. Nel New Jersey l'azienda sta per aprire una vertical farm in un vecchio magazzino da 7mila metri quadri. Sarà il campo al chiuso più grande del mondo, il quale rifornirà di insalate anche New York.
 

La ditta italiana Travaglini, da decenni attiva nella fornitura di tecnologie per l'industria alimentare, ha messo a punto un sistema di coltivazione modulare al chiuso. Sono infatti in grado di fornire vertical farm componibili a seconda delle esigenze del cliente. La particolarità è che la coltivazione, completamente automatizzata, è isolata dal mondo esterno per evitare contaminazioni e ogni oggetto in entrata e in uscita deve passare da una pre-camera prima di accedere alla zona di coltivazione.
 

Anche la tedesca Aponix ha puntato sul concetto di modularità sviluppando delle torri in materiale plastico dove alloggiare le piante. A seconda delle esigenze del coltivatore è possibile assemblare la torre nell'altezza desiderata.
 

Il nodo ancora da sciogliere rimane però la sostenibilità economica di queste innovazioni. Già, perché produrre piante in serra rimane ancora il metodo più economico, anche se i vantaggi delle tecnologie indoor sono inequivocabili: assenza di malerbe, quasi assenza di malattie o insetti, produzioni più abbondanti, cicli più brevi e possibilità di produrre a prescindere dalla stagione.

Eppure un cespo di lattuga prodotto in una vertical farm costa molto di più di quello cresciuto in serra o in pieno campo. Il costo della struttura, dell'energia elettrica per illuminare, riscaldare e raffreddare l'ambiente e per far funzionare gli impianti è enorme. Le amministrazioni territoriali incentivano questi impianti per le ricadute positive sul tessuto sociale e sull'ambiente, ma la sostenibilità economica è ancora lontana.

E infatti l'altro grande filone di mercato è quello degli hobbisti. Per molti infatti l'idea di poter far crescere nel proprio salotto di casa lattuga e rosmarino è affascinante. E allora Robonica, una startup romana pioniera in questo campo, ha lanciato Linfa, un apparecchio dal design minimale, completamente automatico e gestito da una app, all'interno del quale è possibile fare crescere piccole piante.
 

Sullo stesso filone si è inserita anche AgroBotica, che ha messo a punto Hydro 1216, un device dal peso contenuto e completamente autonomo.
La startup tedesca Agrilution ha invece messo a punto delle camere di crescita in miniatura nella quale coltivare insalate, fragole o erbe aromatiche. Dei veri e propri elettrodomestici da cucina da incassare nei mobili come fossero forni o lavatrici.

L'interesse dei consumatori è alto e sono molte le startup che propongono apparecchiature per l'indoor farming. Si tratta però di hobby, appunto. Perché il costo di produzione, a conti fatti, è molto maggiore di quello di un prodotto coltivato in maniera tradizionale.