Se la commercializzazione negli Stati Uniti di prodotti italiani con il marchio privato di Walmart permette una più ampia diffusione del made in Italy oltre oceano, non sono assolutamente contrario. Anzi, dirò di più: oggi, in media, per ogni euro speso dal consumatore solo 17 centesimi vanno nelle tasche di chi produce. Per cui, se questo consentisse agli agricoltori di ottenere una remunerazione superiore all’interno della filiera e permettesse di programmare le produzioni, sarebbe l’ideale e preferirei la private label di Walmart a quella italiana”.

L’approccio di Matteo Bartolini, vicepresidente di Federbio ed ex presidente del Ceja, è di estremo pragmatismo, in merito all’accordo siglato fra il colosso americano della distribuzione e l’agenzia Ice, che dovrebbe facilitare l’accesso dell’agroalimentare italiano al mercato Usa.
L’intesa, infatti, prevede lo sviluppo di una linea di eccellenza di prodotti italiani con marchio Walmart perché si chiamerà “Sam’s Choice Italia”, una selezione cioè del made in Italy operata direttamente dal marchio americano.

Si tratta della prima private label dedicata a un paese, come ha spiegato il presidente dell’Ice Michele Scannavini, che permetterebbe soprattutto alle aziende che non sono conosciute e che non hanno i mezzi per farsi conoscere autonomamente di entrare in un grande mercato, il primo per il made in Italy agroalimentare al di fuori dell’Unione europea. La partnership con Walmart sarà estesa anche al web e all’e-commerce.
È anche così che “gli imprenditori agricoli devono avere lo sguardo rivolto al futuro”, raccomanda Bartolini.
 
Cosa pensa del discorso di Obama a Tuttofood?
Quando parli di temi così alti come la sostenibilità, la lotta all’obesità, la corretta alimentazione, la lotta ai cambiamenti climatici, la prima reazione è che sono temi che qualcun altro ha già affrontato. Ma è l’interlocutore a fare la differenza. L’alert di un ex presidente degli Stati Uniti ha un peso molto diverso rispetto a quello di un singolo cittadino o anche di un’organizzazione agricola”.

Obama ha anche parlato di Ogm, dicendo che prima o poi arriveranno nei campi.
Potrebbe essere vero. D’altronde la forza della lobby sta con gli ogm. È un po’ la stessa questione del glifosate. Non sono uno scienziato per cui, nell’ottica della difesa dei produttori agricoli che rappresento, per me il tema non è tanto la presenza degli ogm o meno nei campi, ma la proprietà intellettuale di quei semi geneticamente modificati. Partiamo dal presupposto che nessuno ha ancora dimostrato a livello scientifico che gli ogm facciano bene, ma neanche male. E lo dice uno che è un convinto sostenitore del biologico. Ma come andrà gestito il diritto di proprietà sugli ogm? Assisteremo ancora a multinazionali che fanno causa negli Stati Uniti agli agricoltori perché i semi sono stati trasportati dal campo vicino e chi se li è incolpevolmente ritrovati sul proprio terreno non ha pagato Monsanto? Credo sia stato questo uno dei temi posti da Obama”.
 
Il biologico continua la propria crescita. Quando si arriverà a un punto di equilibrio? 
Il biologico è entrato prepotentemente nella gdo, che in mancanza di prodotto made in Italy si approvvigiona all’estero. Allo stesso tempo, le filiere italiane non sempre sono organizzate ed efficienti. Sono aspetti che dovremmo curare meglio, perché ci sono ancora molti margini di crescita e il consumatore avanza richieste in tal senso. E se i prodotti non li forniscono gli agricoltori italiani, lo faranno altri.
Oggi la missione è sensibilizzare gli agricoltori a prendere in considerazione un’opportunità come il biologico, dove la remunerazione è di tre volte superiore rispetto al convenzionale. E poi, non dimentichiamo che le colture cosiddette organic assicurano una qualità che l’agricoltura italiana, con una dimensione poderale media di 7 ettari, non può trascurare, pena l’espulsione dal mercato.

Sono convinto che il bio sarà il convenzionale del futuro, con una larga diffusione e, allo stesso tempo, tendenze colturali ancora più sostenibili. Ma il solco del biologico è profondo e continuerà ad affermarsi, accanto ad un modello che si ispira all’agro-ecologia, in cui produzione e ambiente dialogano costantemente
”.

Come si esce dalla crisi in agricoltura?
Dobbiamo ripartire e creare una filiera. Non dobbiamo più limitarci alla sola produzione, ma compiere anche i passaggi successivi. Trasformazione, organizzazione di produttori, organizzazioni interprofessionali saranno la chiave di volta per lo sviluppo dell’agricoltura in futuro. Vale per tutti, ancora di più per le aree colpite dal terremoto in centro Italia, alle quali va il mio pensiero”.
La domanda Pac slitta al 15 giugno, mentre il regolamento Omnibus è stato approvato. Cosa ne pensa?
Bisogna andare avanti e ragionare su come vogliamo la Pac del futuro. Fermarsi ai soliti problemi e parlare ancora di semplificazione o di giovani, senza avere idee chiare, ha poco senso. Quanto allo slittamento della domanda Pac credo che sia giunto il momento di lavorare per trarre miglioramenti dall’utilizzo dell’informatica e delle nuove tecnologie. Se non si rendono le procedure più facili, abbiamo perso la strada”.