E' entrata in vigore la norma che prescrive l'obbligo di indicare l'origine del latte per tutti i prodotti lattiero caseari. E già si pensa di fare la stessa cosa per il riso, sotto scacco a causa delle importazioni a dazio agevolato.

Se qualche settore soffre per le importazioni, altri si salvano grazie alle esportazioni. E' il caso delle carni e dei salumi, come pure del kiwi che trova sbocchi in Cina o delle produzioni biologiche che nell'export conseguono fatturati importanti.

Gli ulivi, ancora alla prese con il problema Xylella, festeggiano la conferma che alcune varietà siano in grado di resistere alla malattia.

Fino a qualche giorno fa c'era solo la siccità a destare preoccupazioni. Ora si contano i danni per le grandinate che a macchia di leopardo hanno colpito vaste aree, in particolare al Nord.

Questi sono solo alcuni degli argomenti incontrati su quotidiani e periodici di questi ultimi giorni. Vediamoli più in dettaglio di seguito.


Il latte e l'etichetta (ma solo per due anni)

Dell'obbligo di indicare sulle etichette dei prodotti lattiero caseari la provenienza del latte se ne parlava già dalla fine dello scorso anno. Poi, a inizio 2017, è arrivata la norma con la quale si è deciso che le nuove etichette sarebbero entrate in vigore dal 19 aprile, lasciando il tempo alle aziende di "smaltire" le produzioni etichettate con le precedenti regole.

Gia a partire dal 18 aprile molti quotidiani hanno anticipato l'arrivo delle nuove etichette, fra questi “Il Sole 24 Ore” o “Il Giornale”, per citarne solo alcuni.
Il giorno seguente il “Corriere della Sera”, nel commentare l'introduzione delle nuove regole, ha tenuto a precisare che il latte utilizzato in Italia è per almeno un terzo di origine tedesca. Ancora il “Corriere della Sera”, del 20 aprile in questo caso, ricorda che si tratta di una "sperimentazione" per i prossimi due anni. E dopo? Deciderà Bruxelles se si potrà continuare e non è detto che ci risponda con un sì.


Un'etichetta per il riso?

La finalità di queste etichette "trasparenti" è quella di offrire maggiori informazioni al consumatore, per consentire una scelta consapevole sugli acquisti. Ma al contempo si vuole valorizzare con questo strumento la produzione made in Italy.

Se vale per il latte, può valere anche per il riso. Questa la considerazione che ha portato a proporre l'obbligo di indicazione dell'origine anche per il riso. In questo caso, spiega “Avvenire” del 19 aprile, si vuole proteggere la produzione e la qualità della produzione italiana, il cui mercato è compromesso dalle importazioni a dazio agevolato da alcuni paesi.

Sul peso delle importazioni di riso interviene “La Verità” del 15 aprile per segnalare come l'import dal Vietnam sia cresciuto del 360%. Nello stesso giorno “Il Tempo” sottolinea che una confezione di riso ogni quattro è di provenienza estera, senza che il consumatore ne sia a conoscenza.

Italia Oggi” del 19 aprile anticipa che per rimediare a questa situazione è già pronto uno schema di decreto per sperimentare le etichette "trasparenti" anche per il riso, la cui applicazione dovrà comunque sottostare al benestare di Bruxelles.


Se l'export ci premia

Latte e carne sono minacciati dalle importazioni, per altri settori le risposte ai problemi di mercato vengono dall'export. E' il caso di carni e salumi, che grazie alle vendite all'estero riescono a superare e a contrastare il calo dei consumi sul fronte interno. E' quanto emerge da un'analisi riportata da “Il Sole 24 Ore” del 14 aprile.

Situazione analoga la si ritrova per il kiwi, con un forte incremento delle esportazioni verso la Cina, paese di origine di questo frutto, come spiega “Libero” del 15 aprile.

Ottimi risultati sul fronte dell'export anche per le produzioni biologiche, per un valore che ha raggiunto quota 1,6 miliardi di euro, notizia che si apprende da “Il Sole 24 Ore” del 19 aprile.


Dalla siccità ai nubifragi

Le preoccupazioni per la siccità che hanno caratterizzato l'inizio di primavera con temperature sopra la media, hanno lasciato il posto a fenomeni temporaleschi e grandinate, in particolare del Nord.

Mentre la “Gazzetta di Mantova” del 16 aprile ancora paventava i rischi di una prolungata siccità, “Il Resto del Carlino” del 18 aprile ha descritto i gravi danni in Emilia Romagna ad albicocche e barbabietole e sulle coltivazioni di cipolla autunnale, letteralmente devastate dalle grandinate.

Non è andata meglio in Veneto. Il maltempo ha compromesso le coltivazioni di radicchio e soprattutto i raccolti di uva nel vicentino, dove si rischia di perdere fra il 70 e l'80% della produzione, come si può leggere sul “Gazzettino” del 20 aprile.

In Piemonte sono stati vento e gelo a provocare danni, lo scrive “Il Giornale” del 20 aprile, che pubblica un resoconto delle segnalazioni ricevute in particolare da Acquese, Ovadese e Gaviese.

Certo, non è la prima volta che gli agricoltori devono fare i conti con grandinate e nubifragi. Negli ultimi dieci anni, evidenzia “Il Tempo” del 20 aprile, il clima impazzito ha provocato danni per circa 14 miliardi di euro.


Una speranza per la Xylella

Notizie fra loro di segno opposto per gli ulivi pugliesi alle prese con la Xylella. Il 14 aprile dal “Quotidiano di Puglia” arriva la notizia di ulteriori abbattimenti per 282 ulivi tra Brindisi e Taranto.

Dal “Corriere del Mezzogiorno” del 16 aprile arriva invece la conferma che la cultivar "favoloso" è resistente alla malattia. Lo hanno dimostrato le ricerche del Cnr, come ricorda “Avvenire” del 19 aprile e come ribadisce nello stesso giorno “Italia Oggi”.

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