Francia batte Italia 86 a 34,8. Parliamo di miliardi fatturati dalla cooperazione agroalimentare nei due paesi. E parliamo di 2.600 cooperative francesi contro 4.722 in Italia. Oltralpe sono dunque poco più della metà del numero italiano e fatturano più del doppio. Un gap considerevole.

Qualche numero in più sulla realtà francese lo ha rivelato, nel corso di una due giorni di studi sulla cooperazione organizzata dall'Accademia dei Georgofili e da Agrinsieme, Maryline Filippi, docente di Economia dell'Università di Bordeaux e componente dell'Inra"Sette cooperative francesi sono tra le prime venti europee per fatturato e In Vivo e Sodiaal sono tra le prime dieci".
In Francia, poi, un marchio alimentare su tre è cooperativo e tre agricoltori su quattro sono soci di una cooperativa. Gli amministratori di cooperativa sono 50mila e 165mila sono i salariati.
Più recente rispetto all'Italia, invece, la storia sindacale, nata nel 1966 ma con una definizione specifica per le coop.

Così come in Italia, anche in Francia è in atto un processo di concentrazione del sistema cooperativo. Tra il 1995 e il 2015 le cooperative francesi sono diminuite come numero, ma hanno accresciuto il loro peso economico. Una specificità francese nella costituzione di cooperative è inoltre la circoscrizione territoriale, che è definita per statuto e inserita nel Codice rurale, assente nel sistema legislativo italiano. "Tale sistema - ha spiegato Filippi - funziona e serve per creare e rafforzare i legami sociali".

Agricoltura e alimentazione, ha proseguito la professoressa, "sono indissociabili; non bisogna produrre una commodity, ma un prodotto alimentare di qualità, seguendo alcune linee guida: rispondere ai bisogni dei mercati e dare al consumatore quanto chiede in termini di salubrità delle produzioni, rispetto del benessere animale e dell'ambiente".
Altrettanto indissolubili sono i livelli "locale e globale, dove per locale si intende il luogo della creazione del valore, mentre con il termine globale si deve identificare il macro-luogo di conferma del valore, perché creare il valore solo localmente non è sufficiente; bisogna reinvestire per l'internazionalizzazione".

Altrettanto fondamentale, secondo l'esperta dell'Università di Bordeaux, è innovare.

La cooperativa in Francia abbraccia tutti i comparti, dal vino (prima voce), ai cereali, dal latte all'ortofrutta, dalla nutrizione animale al bieticolo saccarifero. Il comparto ha creato, in taluni casi, esempi di vera e propria inclusione del territorio e rapporti così profondi da essere considerata una vera e propria forza sociale.
E' il caso della Coop Fermes de Figeac, illustrata dal suo direttore generale Dominique Olivier. "Ci troviamo nel Midi-Pirenees, una zona di montagna nel Sud Ovest della Francia a 250 metri di altitudine - ha esordito Olivier -. Siamo una cooperativa di approvvigionamento agricolo, forniamo mangimi e fertilizzanti e contiamo su 650 agricoltori associati e 155 dipendenti. Oggi lavoriamo in collegamento diretto con altre cooperative e nel 2000 abbiamo realizzato una macelleria, quando ci siamo resi conto che la carne proveniva da ogni dove e, dopo l'emergenza della Bse, era assolutamente necessario garantire la tracciabilità del prodotto".

Oggi i negozi sono 150 e si è rafforzato notevolmente il rapporto fra le cooperative del circuito e il territorio. "Nel 2003 - ha specificato Olivier - quando abbiamo per la prima volta interrogato la cittadinanza sul ruolo della cooperativa, ci siamo resi conto che c'era una frammentazione fra gli associati, il mondo della cooperazione e il territorio. Da allora abbiamo adottato la formula della visita in fattoria, una volta all'anno, per mostrare cosa facciamo".

Basta il rapporto con la società? No. Le sfide sono legate alla multifunzione e all'innovazione, che Olivier disegna come "un incrocio orizzontale e verticale". E l'innovazione, per la Coop Fermes de Figeac, significa "450 tetti solari, produzione eolica e persino una segheria che lavora il legno della zona per farne parquet".
Il territorio, dunque, che non brillava per opportunità e risorse, "si è rivelato una grande opportunità, un volano per realizzare quell'economia circolare e quel modello di economia sociale che ci ha trasformati in una cooperativa agricola e di territorio, con filiere integrate su più livelli".

Il sistema cooperativo è leader anche in uno dei prodotti più famosi al mondo, il simbolo di lusso e di eccellenza quando si parla di vino. Ne ha parlato Alexandrine Legras Populus, direttrice della Federazione delle cooperative dello Champagne. "Sono 135 le cooperative in tutta la Champagne, con oltre 14mila viticoltori soci per 13.200 ettari legati alla Aoc dello Champagne, dei quali 5mila appartengono direttamente alle cooperative - ha riassunto Legras Populus -. Gli occupati a tempo indeterminato sono 1.015. Numeri da primi della classe anche per i volumi nei 125 centri di pressatura cooperativi, che producono 1,8 milioni di ettolitri complessivi, pari a 295 milioni di bottiglie".

La dimensione media degli appezzamenti è di 2,17 ettari, quasi a sfatare il mito che in Francia le proprietà sono solo grandi superfici. Trenta milioni sono le bottiglie vendute da 40 cooperative e altri 25 milioni sono venduti da 2.700 cooperatori, con i loro marchi, fra i quali i premiatissimi Nicolas Feuillatte e Jacquart.

"La creazione del valore passa attraverso tre leve - ha sintetizzato la direttrice della Federazione delle cooperative dello Champagne - : la notorietà della denominazione Champagne, la notorietà dei brand e l'adattamento fra domanda e offerta. L'area di produzione è delimitata e qualità e autenticità del prodotto rappresentano elementi essenziali".

Fondamentale, comunque, è la capacità di adattare la produzione al mercato, saper inquadrare le richieste anche in annate difficili come le ultime, fra crisi mondiale, incertezze commerciali e, per l'ultima campagna vitivinicola, anche con le avversità climatiche.
"E' l'interprofessione che decide i livelli produttivi - ha raccontato -. La quantità di uva eccedente viene distrutta e l'eventuale vino prodotto oltre la soglia viene messo a riserva, in modo da porlo in commercio quando serve. Il segreto è che non si deve produrre di più, ma sufficientemente alla domanda".

Champagne e coop, qual è la sfida? "Le sfide riguardano una viticoltura durevole e una politica che promuova i marchi cooperativi - ha concluso Alexandrine Legras Populus -. Bisogna intensificare l'export e incrementare il valore alla produzione, promuovendo la denominazione dello Champagne e rimanendo in equilibrio produttivo, in base alle necessità del mercato".