La regina Elisabetta ha dato l'assenso reale alla legge approvata dal Parlamento che autorizza il Governo britannico ad attivare l'articolo 50 del Trattato di Lisbona. Entro fine marzo si metterà in moto l'iter per la Brexit. Che cosa accadrà a livello agricolo?

A riguardo, alcune settimane fa, un documento elaborato dalla Coldiretti nell'ambito di un pacchetto più ampio di riflessioni sul futuro della Pac aveva sottolineato innanzitutto che il Regno Unito sarebbe di fatto rimasto nell'Ue fino al 2019, annullando così qualsiasi effetto sull'attuale impianto della Politica agricola comune 2014-2020, che prevede sovvenzioni alla Gran Bretagna per tre miliardi di euro l'anno, più della metà dei redditi degli agricoltori, come riportato nei giorni scorsi da Les Echos, il principale quotidiano economico-finanziario francese.

Le conseguenze, semmai, arriveranno dopo il 2020. In quest'ottica, rileva la Coldiretti, "la futura Pac non potrà non risentire dell'uscita di un partner importante e ingombrante, che non ha mai nascosto la sua forte insofferenza nei conforti di una politica agricola ritenuta troppo dispendiosa rispetto ai propri interessi e poco in linea con la propria sensibilità politica".

Sarà un bene o un male, a conti fatti, la Brexit? Se da un lato l'Unione europea appare menomata per la perdita di un paese così importante e prestigioso come la Gran Bretagna, non è detto che sarà tutto negativo.
Sul fronte della Pac, infatti, l'uscita del Regno Unito si concretizza con la perdita di una voce iper-liberista in campo agricolo, "contrario a ogni intervento pubblico, in particolare sul fronte del sostegno e della regolazione dei mercati".
Inoltre, si affievolirebbe il coro contrario alle politiche di tutela della qualità e dell'origine, da sempre avversate da Londra come supposta "minaccia alle regole della concorrenza e fonte di un aumento indesiderato dei prezzi agricoli".

Altra dinamica positiva, che potrebbe innescare la Brexit, secondo le valutazioni della Coldiretti, potrebbe essere collegata alla eventuale modifica, in misura significativa, degli "equilibri politici in seno al Consiglio Ue, aprendo la strada a una possibile alleanza dei paesi mediterranei a sostegno di una rafforzata leadership della Francia, lo Stato membro tradizionalmente più favorevole alla politica agricola".
Un'ipotesi, certo, che potrebbe tuttavia concretizzarsi nelle prossime settimane, dopo le presidenziali francesi (tra aprile e maggio) e la costituzione di un nuovo governo.

La Brexit, con il suo percorso tortuoso, complesso e gravato da molteplici incognite, "sembra aver comunque interpretato un ruolo di vaccino contro la febbre separatista", ipotesi adombrata anche da Fabrizio De Filippis, ordinario di Economia agraria all'Università di Roma Tre, e che le elezioni in Austria e in Olanda a una lettura empirica hanno confermato.
Un rilancio dunque non ideologico, ma comunque efficace, ispirato a un sano pragmatismo.

L'alleanza del Commonwealth
La concretezza britannica non è mancata all'incontro annuale dei 52 paesi del Commonwealth, in cui Downing Street ha esplorato possibili strategie per consolidare nuove alleanze, che i cronisti hanno già ribattezzato "Impero 2.0".
In un mondo appeso tra globalizzazione e protezionismo, il Regno Unito ha la necessità assoluta di proteggere le rotte commerciali internazionali, ottenendo accordi vantaggiosi o, almeno, solidi rapporti economici con le ex colonie di Sua Maestà, magari da spendere come moneta nel corso degli accordi di Brexit.

Tuttavia, ha sottolineato il Times, l'opinione dominante tra gli esperti è che sarà difficile per il Regno Unito raggiungere un accordo di libero commercio con l'intero Commonwealth, perché la maggior parte degli Stati membri ha già qualche forma di accesso preferenziale alla Ue o lo stanno negoziando.

Quale futuro per gli agricoltori britannici?
Il primo ministro Theresa May ha assicurato che i tre miliardi annui di fondi Pac saranno garantiti fino al 2020. Ma potrebbero essere confermati anche successivamente, essendo il Regno Unito un contribuente netto della Pac.
L'impianto legislativo della Politica agricola comune dovrebbe essere assorbito anche nella fase post Brexit. Certo, non rimarrà tale, ma sarà modificato in base alle esigenze del comparto. E c'è da ipotizzare che gli agricoltori britannici, legati a un impianto di Common Law, spingeranno fin da subito per una massiccia sburocratizzazione alla quale, come i colleghi di tutta Europa, sono altamente insofferenti.

Secondo quanto riportato dal quotidiano francese, "Theresa May non ha dato alcuna indicazione di quale potrebbe essere la politica agricola britannica in futuro. Questo lascia tempo al settore di organizzare la propria attività di lobbying per influenzare l'esecutivo. La tentazione liberale difesa da qualche raro deputato, che consisterebbe nel sopprimere le barriere doganali, è uno spauracchio".

Qualora infatti venissero abolite o fortemente compresse le tasse alle frontiere, avverte la National farmers union (Nfu), principale sindacato degli agricoltori, molte aziende sarebbero incapaci di sopravvivere. Anche perché il Regno Unito "è fortemente dipendente dall'Europa, che rappresenta il 72% dei suoi sbocchi all'esportazione. I prodotti lattieri, il manzo e l'agnello sono in cima alla lista".
Gli agricoltori chiedono al primo ministro di ricercare "un accesso senza restrizioni al mercato europeo", dal momento che per i prodotti agricoli "il deficit commerciale con l'Ue sfiora i 20 miliardi di euro".

Il percorso della Brexit, hard o soft che sarà, inequivocabilmente sarà complesso. Anche per i risvolti sul sistema agricolo britannico.