Se fino a qualche anno fa si pensava che i paesi Bric sarebbero stati la nuova frontiera per il consumo di vino, oggi possiamo dire che per il momento l’opportunità si è manifestata solo in parte. La Cina è sicuramente il motore dell’import a livello mondiale, con una crescita dei valori dell’import nel 2016 del +16% rispetto all’anno precedente. La Russia ha visto più o meno i dati invariati rispetto al 2015, mentre il Brasile ha chiuso con un -3% per i valori e +12% sui volumi, visto il calo nelle importazioni di vini di fascia premium. L’India rimane ancora un mercato molto marginale, con soli 20 milioni di euro di valore per tutto l’import di vino nel 2016.

Questi dati devono essere spiegati in particolare da fattori macroeconomici – sottolinea Denis Pantini, responsabile di Wine Monitor Nomisma –. Russia e Brasile hanno visto il 2016 chiudersi con un calo del Pil del secondo anno consecutivo, oltre alla svalutazione delle valute nazionali. Situazione diversa in India, dove il problema principale rimane ancora quello dei dazi, che si attestano sul 150% del prezzo dell’import”.

Il vino italiano ha registrato fortunatamente grandi perfomance in Cina, dove nel 2016 la crescita dell’export made in Italy ha messo a segno un +39% nel segmento dei vini fermi imbottigliati che, nel mercato in questione, rappresentano quasi il 93% dell’import totale. Il vino italiano soffre maggiormente in Russia, dove la performance migliore l’hanno fatta gli spagnoli, mentre in Brasile, complice la vicinanza, è il Cile ad aver ottenuto il risultato migliore.

Secondo l’analisi di Nomisma, le prospettive per il 2017 sono positive. La possibile crescita dell’import di vino potrebbe essere trainata da un complessivo quadro macroeconomico più favorevole, legato alla ripresa delle quotazioni delle commodity o a un rafforzamento delle valute nazionali. Fra le mine vaganti ci potrebbero essere le politiche protezionistiche di Trump negli Usa e un potenziale rafforzamento del dollaro.