Per alcuni sono la negazione dell'agricoltura, per altri sono invece un modo attraverso il quale il settore primario resta al passo coi tempi, integrandosi nelle città. Al di là degli schieramenti è un dato di fatto che le vertical farm sono ormai una realtà che non si può ignorare. Dall'Alaska fino al Giappone sono numerose le società attive nello sviluppare tecnologie utili alla coltivazione di piante al chiuso.

Ma che cos'è una vertical farm? E' a tutti gli effetti una fattoria, solo che le piante crescono una sopra l'altra, su più livelli, come in un magazzino. L'illuminazione non è garantita dal sole, ma da lampade a basso consumo. Le radici non sono immerse nella terra, ma in substrati inerti, mentre le sostanze nutritive sono veicolate attraverso un sistema di fertirrigazione. Temperatura, umidità relativa e concentrazione di anidride carbonica sono poi controllate elettronicamente. Insomma, si ricrea in un luogo chiuso quello che accade in campagna.

Ma perché qualcuno dovrebbe prendere una fragola da un campo per farla crescere in un logo chiuso? Le ragioni sono molteplici e il fattore economico non è tra queste. Se immaginiamo la Terra del futuro probabilmente sarà molto più affollata di quanto non lo sia oggi, alcuni dicono 9 miliardi di persone, la maggior parte dei quali vivrà in megalopoli. Le campagne, anche a causa dei cambiamenti climatici, dell'erosione e della perdita di sostanza nutritiva, non saranno probabilmente in grado di sfamare tutti. Ecco che allora nelle città nasceranno dei poli produttivi dove si coltiveranno verdura fresca, frutta e legumi.

Secondo Dickson Despommier, il creatore del concetto di vertical farm, basterebbero 50 edifici di 30 piani con base di mezzo isolato dedicati al vertical farming per garantire alla popolazione di New York il 50% del fabbisogno di proteine. Certo, nelle fattorie verticali non è pensabile coltivare mele, frumento o mais. Per adattarsi ad una vertical farm, almeno allo stato dell'arte, serve che la pianta sia a ciclo breve e di taglia ridotta. Questo perché lo spazio, in una fattoria verticale, è poco e molto costoso. Dunque serve velocità di crescita per garantire un turnover sostenuto.

Ad oggi le colture economicamente sostenibili sono le insalate per la IV gamma, che hanno un ciclo di crescita di circa 40 giorni. Le piante aromatiche, come il basilico, e quelle per usi officinali e farmaceutici. Già, perché crescendo in un ambiente potenzialmente sterile e senza contatto con l'esterno le piante sono prive di qualunque inquinante, residuo di agrofarmaco o tossina. L'ideale per produrre farmaci o integratori alimentari.

Anche così però è difficile che una vertical farm sia economicamente in attivo, a meno che non viviate in Alaska, dove un cespo di insalata costa otto dollari. Il tallone di Achille è rappresentato soprattutto dagli impianti a led che sono ancora molto costosi, anche se ormai consumano poca energia. La tecnologia sta però facendo passi da gigante e nel futuro anche questo inconveniente sarà superato. Eppure non si tratta solo di una questione economica.

"Nel futuro coltiveremo il nostro cibo all'interno delle città stesse", spiega ad AgroNotizie Giuseppe Marinelli De Marco, professore di design all'Università di Udine, che ai suoi studenti ha fatto progettare dei prototipi di vertical farm. "Un gruppo si è concentrato a livello di domus. Crescere piante per il consumo alimentare in casa diventerà qualcosa di normale. Poi di civitas, di condominio. Già in Giappone ci sono delle aree comune in cui gli ortaggi vengono coltivati dai condomini. E infine di urbs. Come oggi abbiamo la stazione del treno o la banca domani avremo la fattoria verticale".

Amministrazioni comunali lungimiranti sostengono questa conversione offrendo immobili ormai in disuso. Anche perché nelle vertical farm, grazie all'acquacoltura (una delle tre tecniche utilizzabili insieme all'idroponica e all'aeroponica), è possibile allevare pesci che vivono in simbiosi con le piante. Inoltre le coltivazioni sono a ciclo chiuso, quindi gli sprechi sono ridotti al minimo. "Le potenzialità sono enormi, ma c'è un problema culturale, serve una rivoluzione mentale di approccio alla vita", continue Marinelli. "Nella stessa progettazione delle vertical farm dovremo pensarle fuse negli spazi che viviamo e user-friendly. In fondo una volta gli orti erano la normalità anche all'interno delle città".

Un grande impulso a livello di evoluzione delle tecnologie arriva dal mondo della ricerca. Ad oggi infatti le vertical farm sono utilizzate nei laboratori di tutto il mondo per studiare le piante. Sviluppandosi in condizioni controllate è possibile misurare gli effetti che un nuovo principio attivo ha su un organismo o come cresce una pianta modificata geneticamente.

L'Enea ha da poco messo a punto quello che il suo creatore definisce un "microcosmo". Non si tratta di una vertical farm vera e propria, in quanto non è su più livelli, quanto piuttosto il tentativo di portare in laboratorio un campo coltivato per poter fare degli esperimenti. "Questa struttura nasce per fini di ricerca, per mettere a punto protocolli di illuminazione di piante. Attraverso particolari sistemi a led siamo infatti in grado di fornire alle foglie esattamente la lunghezza d'onda di cui hanno bisogno per crescere", spiega ad AgroNotizie Luigi D'Aquino, ricercatore dell'Enea. "Ma in futuro questa tecnologia potrà uscire dai laboratori per essere sfruttata per allevare piante per fini commerciali".

A meno di catastrofi epocali le campagne non scompariranno, continueremo a coltivare la maggior parte dei prodotti nella terra e sotto la luce del sole. Ma è molto probabile che a fianco delle grandi estensioni avremo dei centri produttivi anche nelle nostre città e nei nostri appartamenti. E come ci siamo abituati ad avere in casa un televisore o il frigorifero, tra qualche decennio sarà normale avere una vertical farm in soffitta.