Nel corso di questo mese l'Ente nazionale risi aprirà il dibattito europeo sul futuro di una coltura strategica per il pianeta, convocando a Milano tutti i paesi produttori: Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Romania, Bulgaria e Ungheria.
L'obiettivo è quello di creare un fronte comune per tutelare le produzioni interne dall'invasione di riso dai paesi Eba (Everything but arms), che esportano in Ue a tasso zero, mettendo in difficoltà i produttori comunitari, a partire dai due più importanti in termini di volumi, Italia e Spagna.

Secondo i dati appena diffusi dall'Ente nazionale risi, la superficie coltivata in Italia è cresciuta di 7mila ettari in un anno, arrivando a quota 234.134 complessivi (dai 227.329 ettari nella campagna 2015-2016).

Intervenuto recentemente in un convegno organizzato proprio dall'ente presieduto da Paolo Carrà, il professor Dario Casati, economista agrario dell'Università di Milano, parlando proprio dell'Italia come "Piccola Asia" per le superfici e le quantità di riso prodotte, aveva preconizzato un andamento positivo.
"Una serie di record storici a partire dal 2014 dovrebbero portare la campagna risicola a risultati di grande soddisfazione nel 2016-2017, verso il picco di oltre 480 milioni di tonnellate", aveva affermato Casati.

Secondo le elaborazioni dell'Enr, sono le varietà di riso appartenenti al gruppo "Tondo" quelle più utilizzate in Italia nella campagna di produzione appena conclusa.
Le superfici investite con Selenio, Ducato e Cerere nel 2016 ammontano a 70.786 ettari, trascinate, ha spiegato Carrà, "dai prezzi interessanti ottenuti nel 2015".
Nell'ambito delle superfici coltivate a riso seguono le varietà afferenti al gruppo "Loto-Ariete", che sono Leonardo, Dardo, Luna, Cl (34.335 ha) e il gruppo "Arborio" (21.161 ettari), mentre il gruppo "Carnaroli" si colloca leggermente più indietro, con 20.925 ettari.

Non mancano i problemi della "Piccola Asia". Calcolatrice alla mano, "la produzione negli ultimi cinquanta anni è salita di un fattore 3,2 mentre il consumo solo di tre volte e sorgono interrogativi sulla possibilità che il trend prosegua e che possa soddisfare il crescente fabbisogno", aveva proseguito Casati, che AgroNotizie ha intervistato.

Professor Casati, qual è la situazione a livello mondiale per il riso?
"La situazione mondiale della produzione e degli impieghi del riso nel tempo si mostra sostanzialmente stabile, con il consumo umano che rimane attorno all'80% delle disponibilità, anche se è in lieve calo percentuale a favore di altri usi".

Che cosa s'intende con altri usi?
"Parliamo di farine di riso o additivi, sostanzialmente. Sono utilizzi che possono registrare un incremento in questa fase in cui si stanno manifestando fenomeni crescenti di celiachia o di gluten sensitivity".

Secondo quanto ha riportato, la superficie risicola cresce ad un tasso medio di poco inferiore allo 0,7%, che però in Asia sale allo 0,85%, ma vi sono aree del pianeta in cui la superficie coltivata a riso cresce con ritmi maggiori, in particolare in Africa. Il riso può diventare una coltura sviluppata anche in Africa?
"Sì, il riso si sta affermando anche in alcune zone dell'Africa, anche se con qualche difficoltà. Le superfici aumentano essenzialmente dove c'è l'acqua e, geograficamente, si vede che la presenza di risorse idriche favorisce tutto il bacino dei fiumi Niger e Congo. Il problema, semmai, è che in Africa manca la cultura del riso come cereale di base. Non lo mangiano e questo rallenta molto la diffusione della coltivazione, che avrebbe grandi potenzialità".

Non potrebbero scegliere la strada della coltivazione a fini dell'export?
"E' una strada in verità che è già stata intrapresa dai cinesi in Africa, ma senza successo. Finché c'è stato il controllo asiatico nella produzione e lungo la filiera fino all'esportazione, il sistema ha retto. Non appena i cinesi hanno smesso di curarsene, la coltivazione del riso è stata abbandonata. E' una conseguenza logica: dove è estraneo alla cultura alimentare locale, la produzione non è seguita. E ipotizzare di far diventare il riso una coltura da esportazione non sempre, per non dire quasi mai, è una pratica gradita. E' vista dagli africani nella logica delle potenze coloniali e dello sfruttamento delle risorse".

Che cosa ci si deve aspettare o cosa si dovrà chiedere per proteggere il riso nella prossima Pac?
"Serve molta prudenza a riguardo. Bisogna in primo luogo vedere come sarà affrontato il grande tema degli accordi internazionali, multilaterali o bilaterali che siano. Se la strada scelta porterà verso la conferma degli accordi, allora le protezioni doganali scenderanno. Non dimentichiamo che il riso ha ancora una tariffa daziaria in vigore.

Quanto alla Pac, durante quest'anno par di capire che si discuterà principalmente per porre le basi della Politica agricola comune dopo il 2020. Vi sono molte incognite a riguardo, a partire dallo stanziamento di bilancio, per il quale il presidente della Commissione, Juncker, dovrà esprimere il proprio orientamento.
Oltre agli aspetti economici, tutt'altro che secondari, vi sono altre questioni da dirimere, legate alla struttura della Politica agricola comune: avrà ancora due pilastri? Quale spazio avranno gli aiuti diretti? E quelli accoppiati? Quanta discrezionalità sarà assicurata ai singoli Stati membri?"
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Come si può incentivare il consumo di riso?
"Il mercato attuale risente del fatto che i consumi in Italia sono maturi e modesti, intorno ai sei chilogrammi pro capite, con l'Italia del Centro-Sud che non lo ha mai adottato nel proprio menù, preferendo la pasta. Tuttavia, credo che le attuali tendenze dei consumi, orientati verso un ritorno ai prodotti vegetali e che presentino caratteristiche di naturalezza e di sicurezza, offrano al riso la possibilità di recuperare segmenti di domanda.

Inoltre, sono convinto che altri spazi possano essere individuati dalla filiera in opportunità che vanno oltre la tradizionale destinazione del riso legata ai consumi più tipici. Accanto a ciò, la nostra risicoltura ha bisogno di una crescente attenzione normativa e di politica del comparto che le consenta di affrontare con successo, una volta di più, le sfide che la attendono.
Non dimentichiamo che il riso è il prodotto agricolo italiano più esportato rispetto alla quantità prodotta, visto che i due terzi varcano i confini nazionali per dirigersi fra l'Ue e il mercato mondiale. Proprio per questo, però, è anche un prodotto più esposto ai venti del mercato mondiale"
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