Il lavoro degli agricoltori è sempre stato influenzato dalla genetica. Fin dall'antichità lo sforzo per selezionare piante con caratteristiche utili all'uomo ha permesso all'umanità di progredire. La scoperta dei geni e dei meccanismi che governano l'ereditarietà ha poi messo nelle mani dei ricercatori strumenti potenti. Le nuove tecniche di manipolazione genetica, come la cisgenesi, il genome editing o il Crispr, promettono ora di accelerare ulteriormente la creazione di nuove piante. C'è però una questione fondamentale: è possibile brevettare un organismo vivente? Con quali limiti?

Proprio di questo si è parlato durante una conferenza organizzata da Cnr e Siga (Società italiana genetica agraria), in collaborazione con Assosementi e Assobiotech, associazione che rappresenta le aziende attive nei settori delle sementi e delle biotecnologie. Tra i relatori anche Paolo Rambelli e Elena Comoglio, dello studio Jacobacci&Partners, specializzato in questi temi.

Sia nel privato che nel pubblico ci sono molti attori fortemente interessati al tema, perché se è vero che la tecnologia ha permesso ai ricercatori di fare grandi passi avanti, è anche vero che gli investimenti richiesti sono sempre più elevati e solo una tutela adeguata della paternità di una scoperta può proteggere chi opera nel settore.

Esistono due vie con cui un ente pubblico o un privato possono tutelare i loro diritti su del materiale vegetale: attraverso il brevetto di invenzione e la privativa per varietà vegetale. Il primo è la forma più nota e ampiamente utilizzata (in tutti i settori) per garantirsi il monopolio di sfruttamento di una invenzione e può essere applicato a tutte le "invenzioni nuove che implicano una attività inventiva e sono atte ad avere un'applicazione industriale", come si legge sul sito del ministero dello Sviluppo economico.

La strada del brevetto per invenzione si è aperta anche in campo agricolo in particolare dopo l’approvazione della direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Il brevetto per invenzione offre maggiore tutela rispetto alla privativa per varietà, in quanto ad esempio non ammette il cosiddetto 'privilegio del costitutore e dell'agricoltore' (di cui parleremo più avanti). Così l'Epo (European patent office), il quale gestisce le procedure di esame delle richieste di brevetto per conto di 38 Paesi, di fronte alle numerose richieste delle aziende e interpretando la direttiva comunitaria 98/44/CE sul biotech in modo non da tutti condiviso, ha via via finito con accettare la brevettazione di varietà ottenute in maniera tradizionale (senza ricorrere cioè alla modificazione genetica).

La privativa per varietà vegetale (dove per varietà si intende 'la minore delle unità sistematiche del mondo vegetale') è una tutela che deriva dalla convenzione Upov del 1961 ed è considerata meno desiderabile perché più specifica. Per ottenerla un soggetto deve dimostrare che la pianta sia nuova, cioè non sia ancora stata commercializzata. Omogenea, cioè uniforme nei suoi caratteri. Distinta, quando si contraddistingue nettamente da ogni altra varietà conosciuta. E infine stabile, capace cioè di riprodursi mantenendo i caratteri distintivi.

La privativa per varietà, a differenza del brevetto per invenzione, offre meno tutele. Nel primo caso infatti chiunque faccia ricerca può utilizzare il materiale vegetale coperto da privativa per ottenere nuove varietà (privilegio del costitutore), cosa che invece non accade col brevetto. Inoltre gli agricoltori godono di una serie di diritti (privilegio dell'agricoltore): possono reimpiegare per la moltiplicazione, esclusivamente nella propria azienda, il prodotto (seme o materiale vegetativo) salvato da un precedente raccolto. Debbono corrispondere al titolare della varietà un compenso in misura ridotta, nullo se classificati come 'piccoli agricoltori'. Per le sementi o ogni altro materiale vegetale coperto da brevetto invece queste ipotesi non sono contemplate.

In molti hanno criticato questa approccio, sottolineando come non sia giusto 'brevettare la vita', poiché per definizione ciò che vive non può appartenere a nessuno o essere sottratto all'interesse collettivo. C'è stata una prima presa di posizione del Parlamento europeo, con la risoluzione del 17 dicembre 2015 sui brevetti e la privativa per i ritrovati vegetali, nella quale veniva espressa preoccupazione per l’aumento dei brevetti concessi per caratteristiche naturali introdotte in nuove varietà mediante procedimenti essenzialmente biologici quali l'incrocio e la selezione. Successivamente anche la Commissione europea ha preso posizione, con una comunicazione pubblicata sulla Gazzetta Ue lo scorso 8 novembre.

Ma cosa può essere oggetto di un brevetto per invenzione? Ad esempio le tecniche di modificazione genetica, ma anche i geni stessi, se isolati dal corpo umano o prodotti mediante un procedimento tecnico. Non sono invece brevettabili le varietà vegetali e le razze animali, così come i processi essenzialmente biologici di produzione di vegetali o di animali.

Tuttavia non è detto che sia brevettabile solo ciò che è nuovo in senso assoluto. Se ad esempio un ricercatore identifica un batterio già presente in natura, può brevettare il suo utilizzo in ambito industriale se lo studia e ne descrive l'impiego in maniera esaustiva.

Se quanto detto vale a livello europeo spostandoci all'estero le cose cambiano. Gli Usa sono stati per anni una nazione che ha tutelato in maniera molto forte la proprietà industriale, ma ultimamente alcune sentenze hanno rimesso in discussione questo principio relativamente a ciò che è naturale, che è diventato de facto non brevettabile.

Anche se questi temi possono sembrare lontani dal lavoro quotidiano degli agricoltori, la normativa sulla tutela della proprietà del materiale vegetale ha conseguenze dirette. Prendiamo il caso di un cerealicoltore che nel suo campo utilizza una semente di frumento duro. La granella che raccoglierà dopo la trebbiatura potrà riutilizzarla in campo? In caso di privativa l'agricoltore ha il diritto di ripiantare i semi e di vendere il raccolto, ma non può assolutamente cedere a terzi i semi perché vengano piantati in un'altra azienda. Dovrà poi verificare se deve corrispondere al titolare della privativa un compenso (royalty). In caso di brevetto invece nulla di tutto ciò è permesso.

Ma possono essere gli agricoltori stessi i detentori di brevetti o privative per varietà. In natura le piante mutano in maniera spontanea, spesso in maniera non visibile e in modi non interessanti, altre volte sviluppando caratteristiche commerciali utili. E' il caso del riso viola di Nori, di cui abbiamo parlato su AgroNotizie. In una risaia del vercellese spunta una spiga viola, l'agricoltore invece di estirparla la isola e la fa riprodurre ottenendo una varietà di riso viola che battezza Violet, unica nel suo genere. Quel riso, unico perché ricco di antociani, può essere protetto con una privativa per nuova varietà vegetale e chiunque lo voglia coltivare deve chiedere il permesso e pagare royalties al detentore della privativa. Attenzione dunque a cosa cresce nei campi.

Le tutele dunque esistono, ma dal mondo della ricerca giungono malumori per la reale protezione dell'innovazione varietale. Perché se è vero che la legge tutela chi fa ricerca, è anche vero che spesso gli agricoltori non rispettano, consapevolmente o meno, il 'copyright' su varietà commerciali. Capita che gli agricoltori usino piante ottenute non lecitamente. Ecco dunque che oltre alle leggi, lamentano ricercatori, costitutori e sementieri, servirebbe anche una nuova sensibilità da parte delle aziende agricole sugli investimenti che devono essere sostenuti per selezionare nuove varietà e controlli più effettivi da parte delle autorità.