Talvolta può capitare che nell'ardore di una lotta ideologica si perda il senso del limite e si oltrepassi la soglia che divide la lecita espressione di un'opinione dalla persecuzione della controparte. Questo limite è stato varcato fra il 10 e il 12 dicembre a Santa Lucia di Piave, in provincia di Treviso, ove si è tenuta la 1356esima edizione della Fiera internazionale dell’agricoltura.

Fra le molte iniziative ne erano previste anche due che, a quanto pare, per qualcuno non potevano coesistere. Una era il padiglione di Campagna amica, iniziativa di Coldiretti nel corso della quale gli associati s'improvvisano fruttivendoli e vendono direttamente al pubblico i propri prodotti. O almeno così si dice. L'altra era un convegno sull'agricoltura di precisione, ovvero quell'insieme di tecniche e tecnologie che rappresentano al momento uno dei fronti più promettenti in materia di sostenibilità delle pratiche agricole del futuro. Tecniche e tecnologie spesso caldeggiate perfino dal ministro Maurizio Martina nei suoi numerosi incontri pubblici.

Un percorso agronomico, quello di precisione, che beneficia anche della mappatura preliminare dei terreni tramite analisi georeferenziata, utile poi all'elaborazione di precise mappe di prescrizione in termini di densità di semina. Questa può infatti essere effettuata a rateo variabile, utilizzando seminatrici innovative capaci di adattare la densità dei semi all’interno dell’appezzamento in funzione della puntuale fertilità del terreno. A corredo di ciò, si possono poi impiegare appositi software che supportino l’agricoltore anche nella gestione ottimale dell’irrigazione, utilizzando le immagini satellitari al fine di stimare al meglio i consumi idrici delle colture. Un processo i cui benefici sono infine misurabili tramite le mappature di produzione, atte a valutare al meglio le rese dei singoli appezzamenti.

Argomenti tosti, quindi, quelli del convegno previsto per la Fiera di Santa Lucia. Di estrema attualità e raffinatezza tecnica. Argomenti per condividere i quali erano stati invitati anche docenti universitari, aventi il compito di trasferire ai partecipanti utili informazioni circa le influenze della corretta densità di semina sulle caratteristiche nutrizionali del mais.

I lettori potrebbero a questo punto chiedersi per quale ragione il padiglione Campagna amica di Coldiretti non abbia potuto convivere pacificamente con il summenzionato convengo.
La ragione c'è, ma è avulsa da qualsivoglia aspetto tecnico o scientifico. L'unico motivo alla base dell'incompatibilità fra le due iniziative è il nome dell'organizzatore del convegno, ovvero Monsanto.

L'associazione agricola, auto definitasi "Forza amica del Paese", ha infatti ritenuto inammissibile che nella medesima fiera ove si sarebbero schierati i gazebo giallo-verdi dei suoi iscritti vi fosse anche un convegno organizzato dalla Casa di St.Louis (ne parla la stampa locale qui e qui). Tutto qui. Né più, né meno.

Non che simili atteggiamenti siano fatto inedito. Nel 2015 si urlò infatti allo scandalo in occasione di Expo per analoghe motivazioni. Allora fu Slow Food a sollevare una stridula polemica per la presenza di McDonalds. Come se l'esposizione mondiale svoltasi a Milano fosse feudo esclusivo del cibo bio e da boutique. A Slow Food andò male, però, perché a nessuno venne in mente di pretendere che McDonalds se ne andasse altrove.

Quasi ricordando i manzoniani vasi di coccio in mezzo a vasi di ferro, gli organizzatori della fiera veneta non sono invece riusciti a ricomporre la polemica, anche perché Coldiretti aveva dapprima minacciato di annullare il proprio padiglione se non fosse stata accontentata.
E così, alla fine è stata Monsanto a decidere responsabilmente di rinviare il convegno ad altra data e ad altro luogo. Del resto si sa: chi ha più buon senso, lo usi. Una situazione che per l'Ente organizzatore si presume sia stata alquanto imbarazzante, visto che Monsanto ha comunque mantenuto il proprio stand in fiera.

Al di là però degli aspetti quasi comici di tale situazione surreale, l'avversione manifestata da Coldiretti nei confronti di Monsanto emana voglia di epurazione, di cancellazione degli altrui diritti.
Poco elegante, peraltro, anche l'inclinazione a usare pressioni al limite dell'intimidazione aventi come ultimo fine quello di perseguitare l'avversario per obbligarlo al silenzio, per relegarlo all'oblio. Un comportamento che lascia quindi allibiti in un Paese che si vanta di essere democratico, aperto all'innovazione e tollerante nei confronti di chi la pensi diversamente.

"Il nostro progetto non può convivere con uno dei simboli degli Ogm”, avrebbe infatti dichiarato alla stampa locale Walter Feltrin, presidente di Coldiretti Treviso, al quale ha fatto eco il direttore della medesima struttura provinciale, Antonio Maria Ciri, che avrebbe mostrato tutto l'orgoglio di aver contribuito al divieto di utilizzare sementi gm in Italia, moltiplicatrici per giunta, sempre a suo avviso, dell'uso di glifosate, “diserbante oggi a sua volta vietato nel territorio nazionale perché altamente tossico”. Affermazione peraltro inesatta, visto che glifosate continua a essere autorizzato per usi agricoli, semplicemente senza più ammine di sego tra i coformulanti.

A questo punto sovviene una serie di curiose domande, la prima delle quali è: ma davvero Coldiretti e Monsanto sono così incompatibili? L'osservazione della realtà direbbe di no.

A prescindere infatti da qualsiasi discussione scientifica su Ogm e glifosate, sui quali Coldiretti andrebbe forse meglio informata, siamo sicuri che la crociata del sindacato contro di essi e contro le multinazionali del biotech corrisponda a un suo coerente comportamento de facto? Ad avviso di chi scrive, no.

Coldiretti controlla infatti Cai, acronimo di Consorzi agrari d'Italia, holding cui fa capo appunto la rete consortile italiana, incluso il Consorzio agrario di Cremona, recentemente capitolato anch'esso all'assedio coldirettiano dopo essere rimasto a lungo una mosca bianca sul territorio nazionale. Presidente di Cai, Mauro Tonello, contestuale presidente di Coldiretti Emilia-Romagna.
In sostanza, tali consorzi agrari potrebbero essere considerati dei veri e propri "Punti vendita Coldiretti".

Ora, con i suoi due miliardi e mezzo circa di fatturato, la galassia di agenzie dei vari consorzi rappresenta indiscutibilmente la più grande realtà commerciale italiana anche per quanto riguarda agrofarmaci, sementi e mangimi. La rete consortile agraria controllata da Coldiretti è perciò la prima entità nazionale in termini di vendita anche dei prodotti a base di glifosate. Quindi i casi sono due, o glifosate non è affatto il veleno "altamente tossico" come viene bollato dal direttore trevigiano di Coldiretti, oppure si deve amaramente constatare che il ramo commerciale del Sindacato guadagna vendendo prodotti che lui stesso reputa altamente tossici, senza che ciò gli procuri alcun turbamento morale. Tertium non datur: una terza ipotesi proprio non si trova.

Capitolo sementiero. Il mais coltivato in Italia proviene da sementi che per la quasi totalità sono vendute da tre multinazionali che hanno nel biotech il loro fiore all'occhiello. Ogm ne producono e ne vendono infatti Pioneer, di DuPont, Syngenta e, ultima ma non ultima, proprio Monsanto tramite il suo marchio Dekalb. Le loro confezioni di semi troneggiano quindi in proporzioni variabili presso le rivendite agricole. Forse che Coldiretti, pardòn, i consorzi agrari, ne fanno a meno prediligendo semi non brevettati, provenienti da commercio equo e solidale? Vi è da dubitarne, visto il business multimilionario che le sementi fanno piovere nelle loro casse.

Infine i mangimi. Ancora, i consorzi, messi tutti insieme, staccano di svariate lunghezze il primo fra i rivenditori privati. Nei sacchi caricati sui furgoni degli allevatori giacciono però anche Ogm, sempre in proporzioni variabili fra loro, ovviamente. Mais e sopratutto soia vengono infatti importati in gran copia dall'estero e sono pesantemente rappresentati da ibridi transgenici i cui semi vengono venduti agli agricoltori indovinate da chi? Esatto, anche da Monsanto, la cui presenza a tasso variabile è pertanto ecumenica in quei sacchi di mangimi stoccati nei magazzini consortili. Se quindi gli Ogm sono così mortiferi e moralmente deprecabili, e se Monsanto è un tale demonio in Terra da doverne osteggiare perfino un convegno tecnico, perché i membri del Cai continuano a movimentare tonnellate di mangimi in cui abbondano genetiche gm, anche del colosso americano? Perché, forse, pecunia non olet: il denaro non puzza. Neppure se arriva grazie a Monsanto.

Quindi, in considerazione di quanto sopra, sarebbe bene innanzitutto per Coldiretti se da Roma giungesse a Treviso una telefonata che ricordasse ai dirigenti locali quante centinaia di milioni di euro incassano in Italia i consorzi del Cai, incluso quello trevigiano, grazie proprio a quei prodotti e a quei fornitori sui quali sono state invece spese parole di fuoco.

Perché non pare molto coerente e onesto tuonare contro qualcuno o contro qualcosa in favore di microfoni e telecamere, salvo poi ricavare i propri stipendi e i propri fatturati vendendone i prodotti per via diretta e indiretta. Si spera cioè che quella di Treviso sia la prima e l'ultima volta che va in scena una tale grottesca rappresentazione di becero ostracismo. Anche perché entro un paio di anni al posto del marchio Monsanto pare ci sarà quello Bayer, fornitore ben più grande e importante della Casa di St.Louis.
A buon intenditor...