Si è chiusa a Roma l'assemblea nazionale 2016 della Cia, incentrata sul tema "Agricoltura: è tempo di cambiare" e che si è articolata in due fasi distinte: una prima, dedicata ai temi della semplificazione della rappresentanza e degli assetti istituzionali, alla quale hanno partecipato il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Giuliano PolettiPaolo De Castro, coordinatore del gruppo S&D in Commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, e Maria Pirrone, presidente nazionale dei giovani della Cia.

E una seconda focalizzata su agricoltura, mercato, filiera e territorio, che ha visto la partecipazione del ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio MartinaLeonardo di Gioia, coordinatore della Commissione Agricoltura della Conferenza Stato Regioni, Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare e Angelo Frascarelli, dell'Università degli studi di Perugia.
 
Nel corso delle due sessioni di lavoro è stato evidenziato come il settore primario, al netto dell'emergenza terremoto, si muova ancora a meno del 50% del suo potenziale a causa di una serie di gravi vizi strutturali che interessano tutto il settore. Numeri che amplificano la necessità per l'agricoltura di cambiare rapidamente passo, partendo dal superamento di gravi vizi strutturali del settore.

Un punto di partenza per il cambiamento è stato identificato nel riavvio del turn-over nei campi che è fermo a cinque titolari d'azienda "under 40" ogni cento "over 65".
Il tanto decantato "boom" dei giovani si riduce a un timido "pop" se si considera che, nonostante l'aumento delle startup, il ricambio generazionale nei campi è ancora fermo sotto il 6% e su ogni cento iscritti alla Facoltà di Agraria solo due approdano alla laurea.

Va detto che con i prezzi medi della terra (tra i 18 e i 20mila euro per ettaro, contro i 5.500 euro della Francia e i 6.500 euro della Germania) non rappresenta esattamente un incentivo a concludere gli studi.
Qualche buona nuova in questo senso la si trova nella Legge di Stabilità, dove sono previsti tre anni di detassazione totale per i giovani che operano nel primario, ma l'ostacolo economico non è che il primo di una lunga serie, seguito dal Golem di carta, bollata e non, di cui si arma la burocrazia.

Stando ai dati forniti, oggi un agricoltore impegna circa novanta giornate l'anno a svolgere costose pratiche e adempimenti di legge, sommando i costi di gestione a quelli di produzione, che restano di oltre il 15% superiori alla media europea e contribuiscono a generare il fenomeno dell'indebitamento, con un agricoltore italiano su tre che ha pendenze da ripianare.

Il potenziale inespresso di agricoltura e agroalimentare italiano sarebbero espressi, secondo la Cia, dai valori del settore: 165 miliardi il valore complessivo della produzione e 38 miliardi il traguardo dell'export a fine 2016. Numeri ragguardevoli ma ancora lontani da quelli degli altri competitor europei a causa dell'assenza di una strategia organica per aggredire i mercati stranieri, ma anche della carenza di nuove figure professionali in grado di interagire con il mondo produttivo e votate all'innovazione.
Il risultato è un livello di esportazione dei nostri prodotti ben lungi dal raggiungere il potenziale inespresso di 70 miliardi di euro.
 
Altro elemento dannoso è la ridda di luoghi comuni che condizionano l'immagine dell'agricoltura, togliendole in alcuni casi molto del suo appeal. Come il tema del caporalato, fenomeno reale ma circoscritto a pochi casi a fronte di oltre un milione di imprenditori che operano nella trasparenza, nel totale rispetto delle regole e per la qualità, servendosi nel 25% dei casi di manodopera straniera.
O quello di un alto impatto ambientale del settore, dove invece l'agricoltura fornisce un contributo insostituibile alla costruzione del paesaggio e per stabilizzare e consolidare i versanti contro il rischio idrogeologico, mitiga l'effetto serra, produce energie rinnovabili e ha un ruolo fondamentale nell'assorbimento di anidride carbonica.

O del "boom" del km zero, che a oggi genera meno dello 0,4% del fatturato complessivo mosso dal settore o, infine, dell'eccesso nel ricorso alla chimica, quando l'Italia è il paese in cui si effettuano i più rigorosi controlli sulla salubrità dei prodotti agricoli e alimentari e che, rispetto all'Europa, sta convertendo più velocemente il metodo colturale da convenzionale a biologico. 
 
Gli interventi dei rappresentanti del mondo politico si sono concentrati prevalentemente sul tema della semplificazione.
Secondo il ministro Poletti, nel corso del tempo si è costruito un percorso a ostacoli che impedisce a chiunque voglia fare impresa di raggiungere la meta che si è prefissato.
Comuni, regioni, Stato ed Europa, purché efficienti, possono essere tutte le istituzioni di cui abbiamo bisogno. "Tutta la burocrazia nel mezzo andrebbe eliminata, anche perché genera in maniera quasi fisiologica sacche di corruzione".
Il lungo e difficile percorso verso la semplificazione, secondo Poletti, è già iniziato con l'Ispettorato nazionale del lavoro e dovrà proseguire con l'Agenda digitale e l'unificazione delle banche dati delle istituzioni.

Sul tema della difesa dei prodotti italiani, il ministro del Lavoro ha condannato il sistema dei dazi, che rappresentano "muri che costruiamo per tenere fuori gli altri e che invece impediscono a noi di uscire".
Per quanto riguarda lo stallo nel ricambio generazionale, Poletti ha affermato che non c'è ricetta, ma tante cose da fare, partendo dallo "smontare il meccanismo della Legge Fornero", ma anche applicando al meglio il meccanismo di alternanza scuola-lavoro.
 
"Basta col bicameralismo perfetto" ha sancito un De Castro pervaso dallo spirito referendario. L'europarlamentare ed ex decano del Mipaaf ha sottolineato come la dotazione per l'agricoltura europea prevista dalla Pac valga circa 53 miliardi di euro e che, quindi, parlare di mancanza di risorse è quantomeno fuori luogo.
Riuscire a difendere queste risorse e accedervi, però, richiede che l'Italia si renda maggiormente protagonista in Europa. Per farlo, secondo De Castro, urge mettere mano alle riforme con una celerità sinora castrata dal paralizzante "continuo ping pong tra Camera e Senato".
 
"Guardo con grande realismo ai numeri dell'agroalimentare e vedo sia aspetti positivi che elementi di fragilità. Abbiamo fatto passi importanti e non banali nella nostra capacità di fare scelte strategiche per il nostro settore. Dobbiamo partire da questi e andare avanti. - ha affermato il ministro Martina - Il principale ostacolo alla semplificazione è la stessa burocrazia. Stiamo facendo progressi, piccoli magari, ma significativi. Rimane molto da fare, anche in Europa per la Pac, pensando di andare al dunque con decisione, ma serve anche un maggior protagonismo europeo a livello mondiale, e se l'Europa non lo fa diventerà sempre più debole".

Dopo aver ricordato che la crisi del settore zootecnico è globale e che Francia e Inghilterra se la passano peggio di noi, il ministro Martina si è unito al coro di chi richiede Psr più omogenei e improntati su linee guida nazionali: "Dobbiamo semplificare e costruire una pagina in cui sia chiaro cosa fa lo Stato e cosa le regioni. - ha concluso il ministro - Soltanto una visione complessiva dell'agroalimentare può sospingere l'export italiano, e questo della riorganizzazione è un tema gigantesco.
E' un argomento decisivo, sul quale serve costante impegno. Voglio infine dire che non è necessario sempre parlare negativamente del settore, siamo pieni di potenzialità"
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Sul tema delle potenzialità del settore è tornato con insistenza Dino Scanavino, presidente della Cia, nel tirare le conclusioni della giornata.
La proposta per il cambiamento lanciata dalla Cia è il "Network dei valori".

Si tratta della creazione di accordi sinergici ben codificati tra l'agricoltura, l'artigianato, il commercio, la logistica e gli enti locali per costruire un percorso virtuoso intorno alle produzioni agroalimentari.
Una sorta di patto per dare vita a "Reti d'impresa territoriali" capaci di mettere in trasparenza l'intero processo che porta i prodotti agricoli e alimentari di quel luogo, dal campo al consumatore. Con un codice di tracciabilità "ad hoc", da apporre sul packaging dei cibi, a certificazione e garanzia del processo avvenuto all'interno di un accordo di "Network".

"Il progetto è ambizioso. - ha sottolineato Scanavino - Ma è una strada che bisogna percorrere perché porterebbe benefici a tutti i comparti coinvolti: non solo quello produttivo, ma anche quello della logistica e del commercio fino ad arrivare ai consumatori".
In questo senso, continua Scanavino, "la tragedia del terremoto che ha colpito il Centro Italia può rappresentare il banco di prova per iniziare il percorso dei 'Network dei valori' proprio dai territori feriti dal sisma, per dare impulso alla ripresa delle attività economiche e sostenere la commercializzazione delle produzioni tipiche e locali".

Da una prima proiezione della fattibilità del progetto, con i "Network dei valori" secondo la Cia si potrebbero risparmiare circa 18 miliardi di euro.
Secondo la Cia, con poche misure ben mirate l'agricoltura sarebbe nelle condizioni di raddoppiare il proprio valore complessivo e garantire almeno 100mila nuovi posti di lavoro, purché riformi il modello attuale imprimendogli una forte accelerazione: snellendo le tempistiche di approvazione di norme e misure, facilitando l'accesso al credito, creando strumenti assicurativi per un'attività esposta a continui rischi commerciali e climatici e stipulando contratti che meglio distribuiscano il valore lungo la filiera.