Il 5 e 6 settembre la Commissione europea ha in corso la Conferenza di Cork sullo sviluppo rurale, a 20 anni di distanza dalla prima analoga iniziativa, voluta dall’allora commissario all’Agricoltura, Franz Fischler, sempre in Irlanda.
L’evento sfocia il 6 pomeriggio in una dichiarazione finale, di carattere politico-programmatica, per indicare la rotta sulle grandi sfide del futuro: lavoro e crescita nella filiera agroalimentare, ambiente rurale, clima e acqua, innovazioni per le necessità degli agricoltori, infrastrutture e tecnologie di comunicazione nelle aree rurali.

Come assessore all’Agricoltura della Lombardia, prima regione agricola d’Italia e secondo distretto agroalimentare d’Europa con una produzione lorda vendibile di oltre 7,3 miliardi di euro e valori al consumo che superano i 38 miliardi, mi permetto di sottoporre ai lettori alcune riflessioni. Pensieri rivolti non soltanto agli addetti ai lavori, perché sono assolutamente convinto che quando si tocca l’argomento agricoltura si parli davvero di un bene con funzioni che hanno carattere pubblico e sociale, accanto ovviamente a quella produttiva.

La realtà agricola sta cambiando: radicalmente e velocemente, anche in conseguenza del costante aumento demografico che porterà la popolazione mondiale a superare nel 2050 i 9,1 miliardi di persone. 

Si evolve l’agricoltura di Paesi in via di sviluppo, ma anche quella dei Paesi emergenti come Cina, India, e, con qualche difficoltà conseguente alla congiuntura economica, Russia e Brasile. Allo stesso tempo mutano gli scenari di quelle realtà che nel corso del secolo scorso hanno potuto contare su politiche agricole strutturate, come Stati Uniti ed Europa.

L’agricoltura in Europa così come in Lombardia, che rappresenta la punta di diamante del settore primario, è diventata un laboratorio di innovazione verso una dimensione multifunzionale. Mi riferisco, fra i vari aspetti, a formule come agriturismo, produzione biologica, filiera corta, agricoltura sociale, precision farming, utilizzo dei big data.

Tuttavia, su scala europea non sempre – in particolare in passato – si è tenuto conto di elementi quali il paesaggio, le risorse naturali, il clima. Produttività e multifunzione dovranno dunque contemperare nuove esigenze, confrontarsi anche con le multinazionali e fare in modo che il fenomeno che ha portato progressivamente a innestare l’agricoltura all’interno della catena alimentare agroindustriale riconosca la giusta redditività ai produttori. 
Margini di reddito positivi, che permettano di vivere dignitosamente e in parallelo di investire nell’attività di impresa sono requisiti imprescindibili, se vogliamo garantire 'futuro al comparto primario.

Per questo chiedo che l’Unione europea e il commissario all’agricoltura, Phil Hogan, prendano atto che è assolutamente necessario cambiare il paradigma delle politiche di sviluppo rurale e che – allo stato dell’arte – è urgente risolvere il nodo legato alla sostanziale difficoltà a investire in attività produttive. E lo dice chi ha l’onore e l’onere di guidare l’agricoltura lombarda che, grazie a un tessuto di imprese che investono, nonostante prezzi agricoli non certo esaltanti, ha visto collocare in 13 mesi oltre la metà del proprio budget di spesa del Programma di sviluppo rurale: 1 miliardo e 157 milioni di euro, la somma più alta mai ottenuta dalla Lombardia da quando sono state istituite le Regioni.

Non si può elidere la funzione produttiva dall’agricoltura, per sostituirla solo dalla gestione del territorio. Reddito degli agricoltori, equilibrio nella marginalità delle filiere agroalimentari, sicurezza alimentare non sono elementi acquisiti, ma conquiste quotidiane, per il raggiungimento delle quali la politica europea gioca un ruolo di primo piano. L’Unione europea dei popoli e delle Regioni non può girarsi dall’altra parte.

La Lombardia, forte della propria leadership, lancia una moratoria affinché entro il 2017, a metà della programmazione della Politica agricola europea e dello sviluppo rurale, si faccia il punto della situazione sulla capacità di spesa in Europa e si consenta, laddove si spende meno, di dare maggiore attenzione agli investimenti produttivi.

Non possiamo non tenere presente che lo sviluppo rurale è intimamente connesso alla crescita (e non de-crescita!) dell’agricoltura di carattere economico, produttivo, ambientale e sociale, ma con riferimento alle comunità e ai sistemi territoriali.