Un lusso che in pochi si possono permettere o un vantaggio competitivo? Intorno alla tracciabilità nella filiera agroalimentare le posizioni sono le più varie. Durante l'evento 'Dal campo alla tavola' che si è tenuto durante Seeds&Chips, i relatori hanno provato a fare il punto su quali sono le tendenze del mondo produttivo.

Bisogna partire da un presupposto: “Cresce il numero dei consumatori che vuole spere da dove viene il cibo che mette in tavola e vuole prendere parte al processo produttivo”, spiega Franca Braga, responsabile Alimentazione di Altroconsumo. Siamo passati dal consumerismo, in cui le persone erano in balia delle aziende e andavano difese, alla fase in cui il consumatore è un attore critico che si informa e sceglie consapevolmente. Oggi siamo andati oltre, al 'pro-sumerismo', in cui il consumatore è un soggetto attivo.

In Italia partiamo da una posizione di vantaggio: i nostri sistemi di produzione e controllo sono tra i migliori al mondo e il cibo che mangiamo, se di filiera italiana, è sicuro al 98%. Già, la filiera. E' questo il punto dolente, perché la fiducia nel made in Italy crolla davanti a prodotti che sono solo 'assemblati' in Italia. O che magari sono finti italiani. In quest'ottica la tracciabilità diventa un valore, non un costo.

Le aziende virtuose hanno tutto l'interesse ad essere trasparenti”, spiega Stefano Ravizza, di Coldiretti giovani impresa. “Solo chi non lavora in maniera corretta ha la necessità di nascondere le informazioni al consumatore, per tutti gli altri l'origine è un valore da comunicare al pubblico”.

In Senato stiamo affrontando in seconda lettura il ddl sulla tracciabilità dei prodotti”, spiega ad AgroNotizie Leana Pignedoli, senatrice del Pd e vicepresidente della commissione Agricoltura. “Bisogna incentivare le aziende a rendere trasparenti le produzioni. In questo modo si tutela la salute delle persone e l'ambiente. Ma è anche un fattore di competitività del nostro sistema agroalimentare”.

Inutile nascondersi che avere un sistema di tracciabilità affidabile è molto costoso. Ne sa qualcosa Barilla che in occasione di Expo aveva reso completamente tracciabile una special edition di pasta e sugo di pomodoro. Il consumatore poteva sapere da quale campo era arrivato il grano duro, dove era stato macinato, in quale luogo era stato lavorato e tanto altro ancora. Idem per il sugo. “La sfida – spiega Andrea Belli, Quality and Food Safety di Barilla – è riuscirlo a fare per tutti i prodotti, tracciando decine di migliaia di fornitori. E riuscendo infine a fornire al consumatore solo i dati utili per compiere le proprie decisioni di acquisto”.

Sul palco sono stati presentati diversi sistemi di tracciabilità. Luciano Magliuolo, di Penelope Spa, ha raccontato la sua esperienza nella filiera della mozzarella di bufala. Grazie alla tecnologia Nfc (Near field communication) è stato possibile garantire una tracciabilità completa e automatica, dalla singola vacca fino alla mozzarella nello scaffale del supermercato. Il punto è proprio questo: per essere sostenibile la tracciabilità deve essere automatica.

Sulla filiera del freddo si è invece concentrata Terry Myers. La sua società, la InfraTab, ha sviluppato dei sensori che possono misurare le condizioni ambientali (come temperatura, pressione, umidità, ecc.) all'interno di una confezione o pallet. In questo modo in filiere come quella delle fragole, in cui mantenere il prodotto a basse temperature è essenziale, si può seguire ogni fase di trasporto e stoccaggio e sapere se i frutti sono stati esposti a un calore eccessivo.

La rivoluzione più radicale arriva invece da See Your Box. Marco Toja, ceo dell'azienda, ha trasportato il settore della logistica nell'era dell'industria 4.0. Una realtà in cui in ogni istante ogni prodotto viene tracciato e monitorato e dove si può intervenire in maniera puntuale ed istantanea per salvare un lotto. Magari quando un container di nebbiolo rimane su una banchina di Kuala Lumpur a 42 gradi.

AgroNotizie è media partner di Seeds&Chips

 

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