“A margine della missione di alto livello in Cina e Giappone sono riuscita anche a incontrare nella capitale nipponica, grazie ad accordi presi in Italia, buyer e importatori e a breve termine spediremo un primo ordine di prodotti su una catena di supermercati a Nord di Tokyo, con 85 punti vendita”.

Così Barbara Mantelli, export manager del Consorzio Casalasco del pomodoro, un colosso che nel 2015 ha fatturato 250 milioni di euro, conta circa mille dipendenti dopo la fusione di Arp (Agricoltori riuniti piacentini) e vanta una quota export del 60% in oltre cinquanta Paesi, grazie anche al marchio Pomì, ritorna nel Paese del Sol Levante.

“In passato abbiamo già esportato i nostri prodotti in Giappone (nella foto, infatti, Barbara Mantelli è con un prodotto del Consorzio Casalasco del Pomodoro in un supermercato di prodotti occidentali a Tokyo, ndr), ma vorremmo ora instaurare un rapporto continuativo, cercando di posizionarci sul mercato nipponico con un brand specifico.

Quali sono stati i motivi che hanno spinto il Consorzio Casalasco del pomodoro, la cui sede principale è a Rivarolo del Re, nel Cremonese, a partecipare alla missione di alto livello voluta dalla Commissione europea all’Agricoltura e guidata proprio da Phil Hogan?
“Abbiamo aderito per poter capire ancora meglio il mercato giapponese e avere una chiave di lettura istituzionale, avendo già noi contatti con alcuni importatori. E' stato molto utile perché abbiamo potuto ampliare la nostra rete di contatti grazie a incontri b2b e abbiamo ottenuto informazioni utili anche sul territorio, sul popolo, sulla cultura giapponese e sulle modalità di importazione. E poi non possiamo trascurare un altro fattore, per nulla secondario”.

Quale?
“Avere rappresentato, insieme ad altri importanti gruppi italiani, il nostro Paese, il made in Italy, e soprattutto la realtà cooperativa italiana, all’interno di una missione europea di alto livello, rappresentata dal commissario europeo dell'Agricoltura Hogan. E' stata per la nostra azienda un’occasione rilevante e di estrema importanza, di cui esserne fieri”.

Quali sono, dal vostro punto di vista, le principali difficoltà all’export in Giappone?
“Abbiamo a che fare con un Paese molto esigente e con consumatori estremamente informati e attenti alla sicurezza alimentare. Dobbiamo quindi tassativamente seguire le prescrizioni per una specifica etichettatura, perché queste sono le regole. Le scritte, in particolare, devono essere sia con l’alfabeto romano che con gli ideogrammi giapponesi. E questo già alla partenza dall’Italia, previa autorizzazione delle autorità giapponesi.
Un altro aspetto tutt’altro che secondario è inerente al fatto che prima di riuscire a immettere sul mercato il prodotto, l’importatore opera un’accurata ricerca. Una sola presentazione di quello che si vuole esportare non è sufficiente, ci sono più step. Altro elemento legato invece in maniera più specifica al pomodoro riguarda la presenza locale di pomodoro, con una concorrenza sul prezzo che è abbastanza significativa”
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Quali sono le prossime mosse del Consorzio Casalasco del pomodoro?
“Siamo conosciuti in tutto il mondo e, recentemente, il nostro brand Pomì ha ottenuto l’importante certificazione, fra le altre, del Social footprint - Product social identity. Dobbiamo farci conoscere diffusamente in Giappone e supportare intensamente questa fase di startup, di fatto, per arrivare all’introduzione sugli scaffali. Ci aspettano mesi di collaborazione per ottenere i permessi ad esportare da parte delle varie agenzie governative e doganali, iter già percorso per alcuni dei nostri prodotti. La procedura, insomma, è un po’ lunga, ma una volta partiti questa fase non si ripete più”.