Sono passati esattamente trenta anni da quando in Italia scoppiò lo scandalo del “vino al metanolo”, pratica illecita utilizzata per "rinforzare" il prodotto che costò la vita a 23 persone e provocò gravi danni fisici a decine e decine di altri.
Sull’onda dello scandalo il Governo di allora varò con inusuale sollecitudine una serie di norme e direttive ancora vigenti mirate a eliminare il fenomeno e che possono essere ragionevolmente ritenute le fondamenta legislative della rivoluzione del settore che lo scandalo avviò: quella del passaggio da una concezione produttiva focalizzata sulla quantità a una visione basata su qualità e valore.

Oggi, con i settori della meccanica, dell’abbigliamento, degli occhiali e delle calzature, l’agroalimentare rappresenta il fiore all’occhiello di un made in Italy votato all’export, impegnato a combattere per la salvaguardia della propria reputazione e identità sui mercati internazionali.

Questo passaggio è stato al centro di un convegno organizzato a Roma da Coldiretti e Fondazione Symbola, al quale hanno partecipato – oltre ai presidenti delle due organizzazioni, Roberto Moncalvo ed Ermete RealacciStefano Masini, dell’Area Ambiente e territorio di Coldiretti; Domenico Sturabotti, direttore della Fondazione Symbola e il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina.
 
I numeri emersi nel corso dell’incontro dimostrano come la scelta di puntare sulla qualità, nonostante la sua origine infelice, si sia rivelata vincente. Nei trenta anni dallo scandalo, l’export del settore vitivinicolo è cresciuto del 575%, raggiungendo un valore totale di 5,4 miliardi di euro contro gli 800 milioni del 1986. Su cinque bottiglie di vino che passano un confine nazionale, una è fatta in Italia.
E il 66% delle bottiglie di vino esportate dall’Italia sono Dog/Doc o Igt.

In termini di fatturato il primo mercato del vino made in Italy - con il valore record delle esportazioni di 1,3 miliardi di euro - sono diventati gli Stati Uniti, seconda la Germania con poco meno di un miliardo e terzo il Regno Unito, con poco più di 700 milioni. Negli ultimi anni sono emersi mercati del tutto nuovi, come quello cinese, che ha superato nel 2015 gli 80 milioni di euro. Rispetto al 2014 le vendite hanno registrato un incremento in valore superiore al 13% negli Usa e dell’11% nel Regno Unito, mentre la Germania rimane sostanzialmente stabile. In oriente le esportazioni sono cresciute del 2% in Giappone e del 18% in Cina.
Performance particolarmente significative sono date dagli spumanti, che hanno raggiunto e superato gli omologhi transalpini e sfidano alla pari il blasonato champagne.

Il valore dell’export per il settore, poi, assume maggior rilievo se si prende in considerazione l’andamento del mercato interno, nel quale si assiste a un dimezzamento dei consumi che passano dai 68 litri annui pro capite del 1986 agli attuali 37. A fronte del consumo minore cresce però la consapevolezza del consumatore, almeno stando alla stima di Coldiretti che vede sul territorio nazionale la presenza di oltre 35mila sommelier.
 
Negli ultimi 30 anni la produzione italiana di vino si è ridotta del 38% passando dai 76,8 milioni di ettolitri agli attuali 47,4 milioni. Il calo della produzione è stato accompagnato da una crescente attenzione alla qualità, con il primato dell’Italia in Europa per numero di vini con indicazione geografica (73 Docg, 332 Doc e 118 Igt). Se nell’1986 la quota di vini Doc e Docg era pari al 10% della produzione, oggi è pari al 35%, e, se si considerano anche i vini Igt, categoria nata dopo l’86, si arriva al 66%: in altre parole i due terzi delle bottiglie.

Si stima inoltre che il vino offra durante l’anno opportunità di lavoro ad un milione e duecentocinquantamila persone tra quanti sono impegnati direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche in attività connesse, di servizio e nell’indotto.
 
Un momento del convegno di presentazione del dossier Coldiretti-Fondazione Symbola "Accadde domani. A 30 anni dal metanolo il vino e il made in Italy verso la qualità"
(Fonte immagine: © Alessandro Vespa - AgroNotizie)
 
Tra le diverse componenti del successo del settore c’è senz’altro una forte ricerca di innovazione, che ha portato nel corso dell’ultimo trentennio al recupero di 1200 vitigni autoctoni, all’arrivo del QR code in etichetta per garantire la tracciabilità dal tralcio al bicchiere attraverso lo smartphone, le etichette in braille, il formato bag in box, i tappi in plastica e vetro al posto di quelli di sughero, le bottiglie a fondo piatto, lo spumante made in Italy con polvere d’oro e quello fatto invecchiare nel mare, per finire con la nascita e diffusione del “Wine beauty”: iniziato con il bagno nel vino, oggi riguarda un'ampia gamma di prodotti, dal dopobarba all’amarone alla crema viso alla linfa di vite, dallo scrub agli scarti di potatura al gel di uva rassodante, dalla crema antietà allo spumante allo shampoo al vino rosato o allo stick labbra agli estratti di foglie di vite. Roba da far passare per un principiante Giorgio Plantageneto, primo duca di Clarence che, condannato a morte, chiese "solo" di essere affogato in una botte Malvasia.

Tra le novità, alcune derivano direttamente dai cambiamenti climatici, con la presenza della vite che si è spostata verso l’alto fino a quasi 1200 metri di quota, altre dall’orientamento del mercato, con l’Italia che vanta il 22% dei vigneti mondiali coltivati con metodo biologico.
 
Ora la nuova sfida è quella di rafforzare e difendere la posizione acquisita combattendo la concorrenza sleale e agguerrita dei produttori internazionali, che si concretizza nella vinopirateria con le contraffazioni e imitazioni dei nostri vini e liquori più prestigiosi e provocano complessivamente perdite stimabili in oltre un miliardo di euro sui mercati mondiali”, ha dichiarato il presidente di Coldiretti Moncalvo, che si è detto anche preoccupato dai “tentativi di minare la distintività delle produzioni” evidenziati dalla recente discussione comunitaria sulla liberalizzazione dei nomi dei vitigni fuori dai luoghi di produzione (discussione nella quale l'Ue ha appena annunciato l'intenzione di ritirare la proposta di liberalizzazione).
 
Quello che è accaduto dopo lo scandalo metanolo nel vino italiano – ha detto Realacci della Fondazione Symbola – rappresenta una straordinaria metafora della missione del nostro Paese. La domanda di Italia nel mondo è legata alla qualità, alla bellezza e alla cultura. Per intercettarla l’Italia deve fare l’Italia, andare avanti nel cammino intrapreso verso la qualità e puntare sull’innovazione senza perdere la propria identità”.
 
Il vino oggi racconta una storia di successo; la storia di una crisi da cui siamo usciti più forti, dimostrando che dove c’è la volontà è possibile raggiungere risultati”, ha concluso il ministro Martina ribadendo la necessità di non cullarsi sugli allori e proseguire nella ricerca della qualità, pilastro fondamentale della competitività insieme a una riorganizzazione del settore che preveda politiche di tutela dei produttori e investimenti in innovazione, tecnologie e ricerca.