Il disordine territoriale, l’irrisolta vicenda dei rifiuti urbani, ed un’azione mediatica tesa a screditare l’antica Terra di Lavoro, ribattezzata Terra dei Fuochi, per via degli incendi di rifiuti speciali spesso avvistati nelle campagne. E’ questa la miscela esplosiva di fattori che ha percosso per molti anni l’economia agricola dell’area Nord della provincia di Napoli e della propaggine più meridionale di quella di Caserta, i 57 comuni finiti sotto l’etichetta di Terra dei Fuochi, un tempo il cuore dalla Campania Felix.  Mentre i dati restituiscono il volto di una terra ancora oggi fertile e buona, troppo spesso oggetto di calunnie ambientali vere  e proprie.

E’ quanto emerso oggi a Napoli durante il convegno “Lotta agli ecoreati nella Terra dei Fuochi, la Campania torna al futuro” organizzato da Coldiretti Campania e dalla Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. E durante il quale è stato presentato uno studio multidisciplinare della Seconda Università di Napoli.

Tra i vari interventi, tutti molto qualificati, svetta per chiarezza e sintesi quello di Andrea Buondonno, docente di pedologia all’Università di Napoli: “Dal 2003, anno del primo scandalo della diossina, fino al 2014 vi è stato un fiorire di notizie incontrollate sulla contaminazione del suolo, il più delle volte riferibile al mero ritrovamento di rifiuti. Oggi che le analisi sono state fatte a tappeto, a cominciare dai siti sospetti, è possibile affermare che di inquinamento ve ne è ben poco in Terra dei Fuochi, visto che ad oggi siamo a meno di 16 ettari posti sotto il vincolo del divieto assoluto di coltivazione. “

Buondonno, nel ricordare molti casi di inesattezze da parte dei media generalisti sulla localizzazioni delle discariche ha detto: “Siamo all’assurdo, che una cosa detta come se fosse vera e non immediatamente smentita sia diventata vera e patrimonio del senso comune e che si sia legato alla presenza di sversamenti o discariche anche la sussistenza di un presunto inquinamento, che le analisi successive del terreno hanno smentito nei fatti”.

Ad alimentare la confusione anche la scarsa chiarezza della normativa e la vulgata che tv, giornali e media ne hanno dato:  “Sistematicamente i valori guida della normativa ambientale – ha detto Buondonno - sono stati contrabbandati per valori soglia, superati i quali la terra poteva definirsi inquinata, in mancanza di una seria caratterizzazione dei terreni e dell’elaborazione di veri valori soglia giuridicamente vincolanti per l’azione dei pubblici poteri”.

Eclatante il caso dei metalli, presenti normalmente nei terreni nella piana tra Capua, Acerra ed il Tirreno  dove hanno valori più elevati, a causa della presenza sul territorio di due vulcani ancora attivi – Vesuvio e Campi Flegrei. Da qui la facilità di sforare i valori guida della normativa ambientale.

Per riparare ai danni fatti, Buondonno ha proposto di rendere obbligatorio il QR Code Campania, il marchio di qualità della regione Campania che permette al consumatore di leggere con uno smartphone tutte le analisi fatte su un determinato prodotto. Attualmente il marchio, sovvenzionato parzialmente dalla Regione, è volontario e grava sui bilanci delle aziende agroalimentari.