La legge Évin (nomen, omen), a quanto pare, non bastava più.
Emanata nel 1991, questa legge proibisce sulle televisioni e sui giornali francesi ogni forma di pubblicità alle bevande alcoliche, incluso perciò quel vino di cui i cugini transalpini sono primi produttori al mondo.
In molti auspicavano da tempo una modifica, magari accettando l’apertura di specifici canali televisivi dedicati al mondo del vino.
 
Gli Antichi, però, solevano dire che gli Dei ci puniscono esaudendo i nostri stessi desideri. E infatti chi sperava in una modifica della legge Évin è stato accontentato. In peggio: in soli due mesi tre differenti rapporti hanno aperto la strada a nuove proposte di legge ancor più restrittive della famigerata Évin. Rapporti definiti dal mondo-vino francese  come opere ben pianificate da non meglio precisate  “lobby salutiste”, le quali avrebbero raccolto dati per dimostrare che l’alcol è dannoso e cancerogeno. Il tutto, si presume, a supporto di precisi passi normativi da realizzare attraverso politici allineati ideologicamente a suddette lobby. Altrimenti un rapporto resta tale, in barba alle aspirazioni di qualsiasi gruppo di pressione.
 
Non che quanto ipotizzato dagli amici transalpini sia impossibile o fantascientifico, intendiamoci. Basti guardare a cosa successo in Italia in materia di sperimentazione sugli animali e Ogm. In tali casi, però e per giunta, le pressioni delle lobby eco-animal-salutiste manco avevano dossier scientifici a supporto delle proprie istanze. In Francia, invece, i contributi scientifici ci sono e vanno nella stessa direzione: la Francia deve prendere le distanze dal vino in quanto sostanza nociva e cancerogena. E lo dice l’Oms, mica la Clotilde di Trebaseleghe.
Su analoghi studi, del resto, anche in Italia sono nate analoghe istanze, come quelle sostenute da Giovanni Testino, medico genovese che chiede l’apposizione sulle bottiglie di frasi simili a quelle dei pacchetti di sigarette.
 
Intanto, cantine e commercianti francesi sarebbero tenuti a pagare una tassa proporzionale al grado alcolico, in linea con il principio "chi inquina paga" già applicato in caso di inquinamenti ambientali. Dato che il vino “inquina” il corpo, et voilà, pronta la tassa. Pure all’orizzonte un inasprimento del regime Iva. Ma fin qui si parla solo di tasse e di soldi. In futuro la legge Évin dovrebbe essere estesa anche al web: siti, blog, pagine Facebook, tutti da chiudere in quanto considerati pubblicità e sostegno al business del vino. Pure le bottiglie sono nel mirino, con l’apposizione in etichetta di frasi del tipo "L'alcol è pericoloso per la salute".
 
Ora vedremo come andrà a finire, perché i vigneròn francesi non sono mammolette e di farsi ghettizzare come fossero spacciatori di morte non pare ne abbiano molta voglia. E giustamente, verrebbe da dire, perché il vino non è solo business e tossicologia: è piacere, è cultura, è buona tavola, è turismo, è territorio, è tradizione, è socialità. Ben lo sa Gerard Depardieu, divo francese che a detta sua di bottiglie di vino ne berrebbe 13-14 al giorno in barba alle lobby, alla legge Évin e pure ai fin troppi wine blogger.
 
Magari, venenum in cauda, sarebbe pure bene che certi vigneròn e wine blogger, anch'essi alquanto Ecò, avessero il pudore di assumere un profilo basso sul recente inserimento di alcuni insetticidi e di glifosate nella lista 2A e 2B dello Iarc, ovvero l’International Agency for Research on Cancer, perché l’alcol è nella lista 1. E tuonare su chi vende prodotti nelle liste 2A e 2B, quando si vendono sostanze in lista 1, non appare né coerente, né carino, né intelligente. Perché di fronte alle lobby, che siano ambientaliste, animaliste o salutiste, sarebbe meglio che l’agricoltura stesse unita anziché dividersi in fazioni che sputano ed esultano sulle disgrazie degli altri, salvo poi aspettarsi comprensione e solidarietà quando nelle ambasce finiscano loro.