Abbiamo strumenti più ambiziosi del passato per la Pac e possiamo indirizzare le risorse per assicurare maggiore flessibilità fra i diversi territori e crediamo che vi siano regole che costituiscono un buon compromesso fra la tutela ambientale e la produttività”.

Lo afferma Pierre Bascou, dirigente della DG Agri a Bruxelles.

In effetti, la Pac 2014-2020 che è entrata in vigore con il 2015 e che gli Stati europei stanno progressivamente adottando, è improntata su un menù variabile, definito da ciascun Paese. Una soluzione che ha portato a diverse sfumature e applicazioni su misura. Se da un lato è garantita l’autonomia, dall’altro il rischio è forse che ciascun Paese gode di una libertà che porta a un’applicazione a macchia di leopardo dei partner comunitari.

Il capping, cioè il taglio al di sopra di determinati valori, non viene applicato uniformemente. E così, capita che Austria, Belgio, Bulgaria, Grecia, Irlanda, Italia, Polonia, Regno Unito e Ungheria provvedano a tagliare gli aiuti diretti più elevati, compresi fra 150mila e 600mila euro all’anno, oltre ovviamente alla cesura minima prevista del 5 per cento.

Quindici Stati membri, invece, applicheranno solamente la riduzione minima prevista per i pagamenti diretti, oltre i 150mila euro. Si tratta di Bulgaria, Danimarca, Estonia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ce ca e Ungheria). In questa Pac “à la carte”, nove Stati dell’Unione europea hanno stabilito che gli agricoltori possono detrarre dal computo del capping le spese sostenute per i costi di lavoro. Si tratta, più precisamente, di Austria, Belgio, Estonia, Grecia e Lettonia.
La riduzione dovrebbe portare a un risparmio per anno fra il 2015 e il 2019 di 112 milioni di euro, per un totale di 558 milioni di euro.

Tutti gli Stati comunitari, ad eccezione della Germania, hanno scelto di erogare una percentuale degli aiuti diretti in forma accoppiata, a sostegno di carni bovine (tutti i Paesi dell’Ue-28, esclusi Irlanda e Lussemburgo), lattiero caseario (tutti, ad esclusione di Austria, Danimarca, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito), cereali (opzione adottata da Grecia, Finlandia, Francia, Italia, Lettonia e Slovenia), soia (solo Italia e Lettonia), ortofrutta (tutti tranne Austria, Belgio, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito), barbabietola da zucchero (Repubblica Ceca, Grecia, Estonia, Finlandia, Croazia, Ungheria, Italia, Polonia, Romania e Slovacchia).
L’Italia è stata l’unica ad aver assegnato fondi per l’aiuto accoppiato dell’olio d’oliva.

Per quanto riguarda i pagamenti di base, sei Stati hanno optato per la regionalizzazione: Germania, Grecia, Spagna, Francia, Finlandia, Regno Unito (esclusa l’Irlanda del Nord). Sette Stati raggiungeranno una formula di pagamento di base uniformato a livello nazionale o regionale: Germania, Corsica (Francia), Inghilterra (Regno Unito) nel 2015; entro il 2019 lo faranno Austria, Paesi Bassi, Finlandia, Scozia e Galles (Regno Unito); la Svezia si uniformerà nel 2020.
Relativamente alla modulazione, Belgio, Danimarca, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Lettonia, Paesi Bassi, Regno Unito, Romania hanno deciso di trasferire una quota delle risorse dal Primo al Secondo pilastro. Altri Stati, invece, hanno operato una scelta contraria, di “contromodulazione”. Sono per lo più nuovi membri dell’Unione europea, per i quali gli aiuti diretti non hanno mai raggiunto i livelli dei Paesi storicamente partner dell’Ue. In particolare, hanno scelto di rimpinguare le casse degli aiuti diretti Croazia, Malta, Polonia, Slovacchia e Ungheria.