Liberarsi dei "falsi miti" che danno del comparto agricolo un’immagine distorta e oscurano aspetti reali che si preferisce tenere celati. Ma anche superare oneri e costi della burocrazia, eliminare le strutture intermedie, aumentare la dimensione economica delle imprese, creare una agenzia per l'internazionalizzazione dell'agroalimentare. Dare il via, insomma, a una serie di misure volte a liberare risorse attraverso investimenti finalizzati alla crescita e allo sviluppo del comparto.

È questa la strada che, nel quadro della prima Conferenza economica di Agrinsieme, dal titolo #campoliberofinoinfondo, Confagricoltura, Cia e Alleanza delle cooperative agroalimentari, hanno illustrato nel corso di un confronto con cinque esponenti del governo: il ministro delle Politiche del lavoro Giuliano Poletti, delle Politiche agricole Maurizio Martina, della Salute Beatrice Lorenzin, dell'Ambiente Gianluca Galletti e con il vice ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.

"Siamo fermamente convinti - ha dichiarato il coordinatore di Agrinsieme Mario Guidi - che è proprio facendo leva sui suoi veri punti di forza che l'agroalimentare, in questa fase delicata, può essere determinante per l'economia italiana. C'è un enorme potenziale di crescita sui mercati internazionali, ma la forza del brand del made in Italy non è oggi supportata da una produzione e distribuzione altrettanto solide".

Tesi supportata dai risultati del Rapporto Agrinsieme-Nomisma "Operazione verità", presentato all’apertura dei lavori.

In base ai rilevamenti il ruolo economico e sociale della filiera agroalimentare è rappresentato da 2 milioni di imprese che costituiscono il 9% del Pil italiano (14% considerando anche l’indotto), impiegano 3,2 milioni di lavoratori (il 14% degli occupati italiani) con un contributo al bilancio dello Stato di 25 miliardi di euro. Tra il 2007 e il 2013, nonostante la crisi che ha portato al calo del 14% dei consumi interni, il settore ha registrato una crescita del valore aggiunto pari al 6%.

Il settore ha retto alla crisi prevalentemente grazie alla spinta delle economie emergenti. I consumi alimentari sono cresciuti in maniera importante all’estero e prevedibilmente continueranno a salire anche nei prossimi anni. La produzione e le vendite delle nostre imprese agroalimentari sono trainate quindi anzitutto dalle esportazioni, che nel 2013 hanno superato i 33 miliardi di euro.

Il ministro Gianluca Galletti e il presidente della Cia Dino Scanavino

Se è vero però che l’export agroalimentare è cresciuto, lo ha fatto meno di quanto avvenuto mediamente a livello mondiale (dal 2000 al 2013 l’export mondiale di prodotti agroalimentari è triplicato). Negli ultimi 10 anni infatti, nonostante la crescita delle esportazioni agroalimentari, la quota di mercato detenuta dall’Italia in questo settore a livello mondiale è diminuita dal 3,3% al 2,6%. Se poi a veder crescere le quote di mercato sul commercio internazionale sono soprattutto Cina e Brasile, anche nella vecchia Europa l’Italia soffre la competizione della Germania (che esporta esattamente il doppio di noi) e della Francia (con 43 miliardi di euro rispetto ai nostri 27). E questo nonostante l’appeal del made in Italy.

I motivi di questa mediocre performance secondo il rapporto sono diversi, a partire dalla frammentazione produttiva della nostra filiera, con un’azienda agricola italiana media che ha un valore della produzione di 29.000 euro contro i 42.000 euro della Spagna, i 142.000 euro della Francia e i 172.000 euro della Germania. In maniera simile, a livello industriale le imprese italiane presentano un fatturato medio di 2,2 milioni di euro contro i 2,6 milioni di euro delle imprese francesi, i 3 milioni di euro delle imprese spagnole e i 5,1 milioni di euro delle imprese tedesche.

La ridotta dimensione aziendale comporta una ridotta competitività in termini di capacità finanziarie e di investimento, capacità di rispondere ai volumi richiesti da grandi piattaforme logistiche e distributive, possibilità di acquisire competenze tecniche e manageriali, capacità di raggiungere e conquistare i mercati esteri.

Rispetto ai competitor europei, inoltre, si registra un forte squilibrio nella redistribuzione del reddito lungo la filiera, con il reddito degli agricoltori bloccato da anni da variabili contrattuali interne alla filiera stessa e dall’aumento dei costi di produzione. 22.000 euro il reddito medio di un agricoltore italiano contro 47.000 euro in Francia e 36.000 euro in Germania.

Uno degli strumenti più diffusi e importanti a livello europeo per il sostegno al reddito agricolo è l’associazionismo cooperativo. In questo contesto, in Italia la cooperazione svolge un ruolo di primissimo piano con quasi 6.000 realtà, 35 miliardi di euro di fatturato e quasi 100.000 occupati.  La cooperazione veicola circa il 38% della produzione agricola nazionale, un dato di assoluto rilievo anche se leggermente inferiore rispetto a quanto avviene complessivamente a livello europeo (40%)

Un altro strumento che più di recente viene sempre più adottato dalle imprese agroalimentari per migliorare la propria competitività e conseguentemente i propri redditi fa riferimento alle reti d’impresa. Ad oggi sono quasi 880 le imprese agroalimentari coinvolte in questi strumenti di collaborazione, in gran parte imprese agricole (oltre 450).

Ai problemi di competitività derivati dalle criticità strutturali del sistema produttivo vanno aggiunti i vincoli derivanti da un sistema di supporto istituzionale al sistema agricolo e agroalimentare inadeguato alle nuove esigenze delle imprese agroalimentari italiane.

"È quanto mai imprescindibile – ha spiegato Guidi - un vero e proprio cambio di rotta per la sostenibilità e la continuità dell'agroalimentare italiano. Un cambio di rotta che faccia leva su un mix di scelte di contesto, macroeconomiche, logistiche, infrastrutturali ed ambientali".

Quello che viene richiesto alla politica è che vengano realizzati interventi radicali nell'ambito del settore pubblico che vedano una riduzione della burocrazia e dei soggetti che a vario titolo sono impegnati nel supporto al sistema agricolo e agroalimentare: il ministero delle Politiche agricole, le Regioni, gli altri ministeri, insieme ad una serie di strutture intermedie.

Altrettanto necessari appaiono poi gli interventi sul mercato del lavoro, cominciando dallo snellimento degli adempimenti amministrativi per la gestione dei rapporti di lavoro stagionali e di breve durata, e sullo sviluppo delle aggregazioni (compito in condivisione tra politica e produttori) che portino la nostra agricoltura a superare la frammentazione e a ragionare in un’ottica, se non cooperativistica, almeno comune.


Sostanzialmente unanimi le reazioni del mondo politico presente,  con il ministro Galletti che ha posto l’accento sulla necessità di rilanciare l’agricoltura partendo da una seria lotta al dissesto idrogeologico in cui investire maggiori fondi da parte di Stato, Regioni e Comuni; il ministro Poletti ha sottolineato come a fronte della necessaria semplificazione sia altrettanto necessaria un’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini (e degli agricoltori); il ministro Lorenzin ha invece evidenziato come sia necessario un cambiamento di tutto il sistema in una prospettiva di semplificazione e razionalizzazione, ma mantenendo “controlli rigidissimi, regole più ferree e ispezioni più rapide” a tutela della qualità del made in Italy; il vice ministro Calenda, infine, ha annunciato l’avvio di un progetto per i mercati esteri da 50 milioni (finanziamento Mise-Mipaaf) per promuovere negli Stati Uniti i prodotti a indicazione geografica, e incentivi alle catene distributive per dare spazio sugli scaffali a nuove referenze alimentari anche di nicchia.

Una risposta puntuale a quelle che sono state le indicazioni di Agrinsieme, pur senza arrivare al “ministero dell’Agroalimentare” ventilato da Guidi, è arrivata dal ministro Martina, che ha presentato "Agricoltura 2.0– Servizi innovativi per semplificare", un piano per ridurre a zero l’utilizzo della carta ed eliminare la burocrazia inutile per un milione e mezzo di aziende.

Attraverso la Domanda Pac precompilata dal marzo del 2015 evitiamo perdite di tempo agli agricoltori agli sportelli, con un’operazione simile al 730 precompilato per i cittadini. – ha spiegato Martina - Mettiamo in condizione 700 mila piccole imprese di inoltrare la domanda Pac con un semplice click. Si potrà anticipare al 100% il pagamento degli aiuti a giugno invece che a dicembre per circa 4 miliardi di euro su 1 milione di domande Pac. Attraverso l’Anagrafe unica le istituzioni condividono le informazioni senza chiederle ogni volta, mentre con la Banca dei Certificati online niente più file agli sportelli e un risparmio stimato di circa 25 chili di carta per azienda. Il ‘piano Agricoltura 2.0’ è un altro importante passo che va nella direzione di una Amministrazione realmente al servizio degli agricoltori”.

Un piano ambizioso che ha riscosso il plauso dei presenti e che, se anche fosse realizzato solo al 50%, rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione nel settore agricolo e agroalimentare.