Si sta chiudendo una difficile campagna del pomodoro da industria. Una stagione dominata dai chiaroscuri che ha visto le avversità atmosferiche contrastate efficacemente dalle puntuali e sapienti azioni agronomiche degli agricoltori che hanno salvato la coltura facendone però schizzare i costi produttivi alle stelle. “Quella che una volta era una coltura da reddito – commenta Giovanni Lambertini, presidente della sezione di prodotto Pomodoro da industria di Confagricoltura Piacenza e di Confagricoltura Emilia Romagna - sconta costi di produzione decisamente alti e che impongono rese molto elevate, al punto da rivelarsi remunerativa solo in annate agrarie perfette sotto ogni punto di vista e il 2014, di certo, non lo è, come, del resto, non lo è stata neppure il 2013. Serve maggiore consapevolezza da parte dei rappresentanti delle Op. Nonostante l’impegno per la produzione, comunque garantita, le imprese si confrontano con una situazione che va cambiata e con un accordo che, purtroppo come ci si aspettava, non è remunerativo perché il prezzo fissato a 9.2 euro al quintale, in tanti casi, corrisponde anche a meno di otto effettivamente percepiti, con punte negative al di sotto dei sette euro”.

Le superfici investite a pomodoro da industria in Italia nel 2014 rispetto all'anno prima hanno registrato un aumento di circa il 19% con l'Emilia Romagna confermata principale area di produzione e detenente una quota del 47% delle superfici totali nazionali. In questa regione, la produzione è localizzata prevalentemente nelle province di Piacenza, Ferrara e Parma. “I produttori - rimarca Lambertini - possiedono grande competenza, ma produrre pomodoro da industria costa sempre di più. Serve sin da ora impegno e serietà per cambiare le modalità contrattuali che, così concepite, non hanno più ragione di essere e portano alla deregulation, tanto che questa situazione ha indotto alcune aziende agricole a trovare accordi diretti con le industrie di trasformazione facendo venir meno il ruolo fondamentale delle Op che è quello di aggregazione del prodotto. I parametri qualitativi non possono essere uno strumento ingestibile e aleatorio di flessibilità e generare una forbice così grande tra pagamenti attesi e introiti effettivi. E stupisce lo stupore di alcuni rappresentanti delle Op – conclude Lambertini – che puntualmente si appellano al know how per contenere i danni di una contrattazione condotta a suo tempo con eccesso di ottimismo e sottovalutazione dei rischi a carico dei produttori”.