“Dobbiamo arrivare a stabilire un prezzo del carbonio e fare in modo che chi più inquina, più paga. Credo che questo possa essere un incentivo a sviluppare energie non fossili. La questione è che non tutti vogliono la carbon tax e vi è una lobby piuttosto potente che è fortemente contraria”.
In estrema sintesi è questo il nocciolo della questione relativa alle emissioni inquinanti e alla necessità di contrastare i cambiamenti climatici, come spiega il professor Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano.

Siamo alla vigilia della “Climate week NY°C”, il vertice che il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, presiederà a partire da domani al Palazzo di Vetro dell’Onu. Un appuntamento preceduto da marce e manifestazioni in tutto il mondo, per sensibilizzare sul problema.
Accanto al vertice sul cambiamento climatico, troverà un nuovo slancio la campagna delle Nazioni Unite “Seal the Deal”. Ovvero “Sigla l’accordo”, con un chiaro riferimento all’obiettivo di raggiungere una nuova intesa globale sul clima entro la fine del 2015.
La settimana di New York si inserisce in una road map di avvicinamento che prevede incontri a Lima (il prossimo dicembre), a Bonn e alla conferenza mondiale di Parigi sul clima, in programma a dicembre del prossimo anno, l’occasione, appunto, per arrivare a una posizione comune nelle azioni da intraprendere contro i cambiamenti climatici.
Particolarmente accese (ma pacifiche) le esibizioni domenicali in Australia, dove i manifestanti sono scesi in piazza sollecitando il premier Tony Abbott – il politico che governa il paese per una settimana all’anno da un villaggio aborigeno – a non disertare il summit. Era stato Abbott, infatti, ad anticipare nei giorni scorsi che non avrebbe preso parte ad alcun vertice, dichiarandosi alquanto scettico sulla possibilità di mettere d’accordo i diversi Paesi, stanti gli interessi anche di multinazionali private che preferiscono avere le mani libere.
Ma il cambiamento climatico, come ha affermato Ban Ki-moon, costituisce “la più grande sfida collettiva che l’umanità deve oggi affrontare”.

L’Onu ci crede e sta cercando di spingere anche attraverso l’immagine. Motivo per cui è stato conferito il ruolo di ambasciatore sul clima a Leonardo Di Caprio, il quale è a capo di una fondazione molto “green-oriented”. Sarà sufficiente per muovere i singoli Stati nella direzione comune di impegni volontari di alto livello?
Secondo il professor Caserini, “i negoziati negli ultimi mesi hanno mostrato qualche piccolo progresso, ma nei prossimi mesi le parti dovranno mostrare se intendono accettare qualche compromesso per raggiungere un accordo globale”.
Rispetto al 1992, anno dell’accordo mondiale di Rio de Janeiro, riguarda la differente situazione economica globale. “Ora i Paesi in via di sviluppo con i Paesi ad economia emergente come Cina, India e Brasile emettono la maggior parte delle emissioni globali di gas serra – prosegue Caserini -. Inoltre, le emissioni pro capite in Cina sono ormai vicine a quelle di alcuni dei paesi di più antica industrializzazione, come l’Unione europea”.
Impossibile, dunque, raggiungere un accordo efficace se non si coinvolgono Cina e India al rispetto delle regole per ridurre le emissioni. Allo stesso tempo, un accordo si potrà configurare se si abbandonano le posizioni granitiche e se si accolgono le richieste di questi due grandi Paesi a un trattamento differenziato rispetto alle realtà che storicamente producono emissioni più elevate.

“Per ottenere le trasformazioni di grande scala necessarie per stabilizzare il clima – scrive l’Onu - i Paesi non solo devono inviare i giusti segnali politici e rispettare gli impegni finanziari sul clima, ma anche stabilire obiettivi di riduzione molto più audaci. I finanziamenti per il clima sono un investimento per il futuro. Non devono essere ostaggi di considerazioni di bilancio a breve termine”.
“Non vorrei sbilanciarmi, considerato che gli ultimi summit hanno registrato più uno stallo che reali progressi – commenta il professor Caserinima, in qualsiasi modo si farà, dobbiamo fare in modo di ridurre dell’80% le emissioni da qui al 2050”.
Lombardia sì, governo forse. Rimane un’incognita sull’appuntamento nella Grande Mela: chi andrà per l’Italia? Matteo Renzi? “Se sarà così, finora non è stato reso noto – dice Caserini -. Quello che è sicuro è che il premier italiano non ha speso una parola sui cambiamenti climatici”.
L’esperto del Politecnico di Milano, che cura personalmente il blog www.climalteranti.it, si dichiara “deluso dall’assenza di una politica energetica da parte dell’attuale governo, che parla di trivellazioni nell’Adriatico, con un rischio di danni ambientali rilevanti, ma non ha un percorso chiaro legato alla politica energetica”.
Al vertice di New York parteciperanno il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, insieme con l’assessore all’Ambiente, Energia e Sviluppo sostenibile, Claudia Maria Terzi. Durante il Summit, verrà sancita l’adesione ufficiale della Regione Lombardia a The Climate Group, associazione internazionale che si occupa di tutela dell'ambiente. La Lombardia è l'unica regione italiana membro dell’Associazione.
Focus Africa.

Nei prossimi 50 anni si prevede che la popolazione africana possa raddoppiare. Ciò significa che dal 2050 ci saranno quasi due miliardi di persone nel continente. La fascia sub-sahariana è quella che crescerà più velocemente ed è anche quella che dipende più strettamente dalla produzione agricola; il 60% della popolazione è, infatti, impiegato direttamente nel settore.
I mutamenti climatici e ambientali mettono seriamente in pericolo il futuro di questo continente, in continua crescita demografica. Il surriscaldamento globale e il processo di desertificazione, unitamente all’aumento del livello del mare, porta a una maggiore scarsità d’acqua. Tutto ciò è paradossale, se confrontato con le piogge torrenziali e le conseguenti inondazioni che si verificano in molti Paesi dell’Africa.

Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono evidenti. C’è una correlazione stretta, ad esempio, tra la piovosità annuale e il Pil di molti Paesi, poiché solo il 4% delle terre coltivate sono irrigate.
È necessario quindi operare una serie di azioni concrete che possano migliorare la produttività, adattandosi alle condizioni specifiche causate dai cambiamenti climatici.
Come recentemente presentato nel paper “Keeping Track of Adaptation Actions in Africa” dell’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, risulta urgente razionalizzare le risorse idriche a disposizione.
Nonostante i miglioramenti ottenuti per l’accesso all’acqua potabile, è ora necessario operare concretamente per aumentare la capacità di stoccaggio dei bacini idrici già esistenti o in disuso. Altresì utile sarà migliorare i sistemi per la raccolta di acqua sia nelle aree caratterizzate da siccità sia in quelle più umide, in modo da rendere più conveniente e incrementare i volumi immagazzinati.
Di particolare successo risultano le esperienze avute da progetti di minor impatto economico, replicati però in numero ampio. Interventi cioè che possano essere gestiti e spesso realizzati dai beneficiari stessi.

Matteo Bernardelli
Stefano Ongari