Sono stati 26 i giornalisti convenuti a Kumasi, a nord del Ghana, per seguire un workshop in materia di comunicazione sui temi delle biotecnologie e della biosicurezza. L’iniziativa è nata dalla necessità di fornire un sostegno tecnico-scientifico ai media, i quali sono oggi chiamati a commentare uno specifico disegno di Legge dedicato ai sementieri locali. Anche in Ghana vi sono infatti accesi dibattiti pubblici circa il biotech, i brevetti sulla genetica e l’agricoltura in genere.
Hans Adu-Dapaah, direttore del Colture Research Institute, ha potuto quindi spiegare ai giornalisti che l'obiettivo principale del disegno di Legge è quello di stabilire un quadro giuridico tale da poter riconoscere i risultati del lavoro dei costitutori di nuove varietà. Realtà come il Cri e altri istituti di ricerca agricola trarranno infatti grande beneficio dall'iniziativa, in quanto promuoverà la produzione di nuove varietà di piante migliorate nella quantità, nella qualità e più accessibili a tutti anche in termini di costi. Le nuove varietà che verranno messe a punto e registrate dai “breeders” nazionali permetteranno di abbattere il costo del cibo, dei combustibili, delle fibre e delle materie prime per l'industria. La volontà è quindi quella di incoraggiare gli investimenti in impianti di moltiplicazione e di promuovere l'industria delle sementi. Tutto quindi tranne che l’usuale tormentone che vuole la ricerca “brevettare la vita”.
Ma perché coinvolgere i giornalisti direttamente? Perché un giornalista ignorante può fare danni anziché cose buone. Non lo si scopre certo oggi.
I media sono stati quindi messi a conoscenza delle basi delle ricerca sulle modifiche genetiche, nonché dello stato dell’arte in materia di ricerca sulla biosicurezza. Con il workshop di Kumasi hanno anche appreso i principi fondamentali di estrazione del Dna da frutta e verdura e hanno potuto visitare alcune prove di campo ove al centro della sperimentazione era posto il riso. Grazie a ciò si spera almeno che i giornalisti ghanesi sappiano ora impostare in modo scientificamente corretto le comunicazioni in materia di agro-biotech, anziché sproloquiare ripetendo a pappagallo le strilla di chi più che tuonare contro le biotecnologie pare non sappia fare.
Ottima iniziativa, quella ghanese: i giornalisti devono sapere fare il proprio mestiere e ciò che non sanno è giusto gli venga insegnato.
 
Nel frattempo, anche i giornalisti italiani sono chiamati alla frequenza di corsi di formazione permanente. Tutto bello e tutto giusto. Peccato che al momento questi prevedano in larga parte lezioni e quiz su Leggi e regolamenti in materia di deontologia, di privacy, di segreto professionale e di altre tematiche del genere. Ben poco di agro-biotecnologico appare infatti all’orizzonte, tranne forse un corso su "Comunicare la scienza. Linguaggi, casi studio e metodi di divulgazione", che si terrà però solo a Perugia e si teme vedrà un numero di partecipanti per lo meno non oceanico. Il tema appare di assoluto interesse,  ma resta purtroppo un caso isolato al fianco del quale pare vi sia nulla che permetta a un giornalista generalista di apprendere i rudimenti di una tematica delicata come le biotecnologie o i rapporti fra chimica e ambiente. Eppure la cronaca è zeppa di notizie su questi temi: scandali, semine di protesta, invasioni teppistiche, Leggi fatte di corsa, inchieste, condanne... Un mare magnum nel quale sarebbe bene saper nuotare adeguatamente dal punto di vista puramente scientifico.
Dura infatti pensare che al prossimo articolo sugli ibridi di mais Bt, o sull'ennesima querelle su pesticidi e ambiente, la deontologia professionale si possa ritenere del tutto salvaguardata quando il giornalista di turno  sarà chiamato a scrivere il suo pezzo. Perché se non si sa alcunché di ciò che si scrive, conoscere a memoria la Legge 47/1948 in materia di “Disposizioni sulla stampa, diffamazione, reati attinenti alla professione e processo penale”, oppure la Carta di Treviso del 1990 o ancora la «sentenza decalogo» della Cassazione del 1984 sui limiti al diritto di cronaca, si teme potrà servire a poco, esponendo così il giornale al rischio di pubblicare testi che dal punto di vista scientifico sono privi sia di capo, sia di coda.
Sempre ovviamente che a certi editori e giornalisti interessi scrivere articoli sensati in materia di ogm e “pesticidi”. Perché leggendo i frequenti servizi scandalistici e beceramente allarmisti che circolano su molti media, viene da sospettare che quanto giustamente insegnato dai vari corsi di deontologia sia presto finito nei tubi una volta tornati in redazione.