“La messa in coltura di varietà di mais iscritto nel catalogo comune europeo è da considerarsi libera”. È quanto afferma la Regione Friuli nella lettera della Direzione del Servizio del Corpo Ffrestale dello Stato indirizzata a Silvano Dalla Libera, maiscoltore e vicepresidente di Futuragra, l’associazione che si batte per l’introduzione delle biotecnologie nell’agricoltura italiana.

Silvano Dalla Libera aveva seminato mais Ogm nel suo campo di Vivaro, in provincia di Pordenone appellandosi al diritto vigente e alle pronunce delle corti di giustizia che si sono susseguite degli ultimi anni. Nella lettera, arrivata ieri, la Regione riconosce che la normativa “consente l’impiego di prodotti geneticamente modificati” e che la messa in coltura di varietà di mais Ogm autorizzate e iscritte al catalogo comune non può essere assoggettata ad una procedura nazionale di autorizzazione”.

“Era il 2004 quando il mais Ogm veniva iscritto al catalogo comune europeo. Ci sono voluti quasi 10 anni per arrivare alla semina e restituire agli agricoltori italiani il diritto di accedere all’innovazione alle stesse condizioni degli altri produttori” ha dichiarato Silvano Dalla Libera. “Questo è il risultato di anni di battaglie portate avanti da Futuragra. Siamo molto soddisfatti, è una vittoria del diritto e della libertà d’impresa", ha proseguito Dalla Libera. "Siamo finalmente a una svolta che apre per il settore agricolo una nuova opportunità per risollevarsi da una crisi che non ha precedenti nella storia del nostro Paese”.

"È tempo si riconosca che l’oscurantismo scientifico e l'ambientalismo ideologizzato sono stati sconfitti e che il mondo della produzione chiede razionalità e parità di condizioni con le economie concorrenti", ha dichiarato Duilio Campagnolo, presidente di Futuragra. 

Intanto Futuragra prosegue la campagna di raccolta fondi “Una spiga per la ricerca”. Dal sito www.futuragra.it si potrà adottare simbolicamente una spiga di mais del campo di Vivaro con un contributo di 10 euro. I fondi saranno destinati a raccogliere dati scientifici per sopperire all’assenza della ricerca pubblica alla quale da oltre 10 anni viene impedito di lavorare.